Potrei scrivere una di quelle introduzioni suggestive e pompose, ma l’unica cosa che mi interessa davvero dire su Zucchero e catrame, il nuovo romanzo di Giacomo Cardaci da poco uscito per Fandango, è che mi ha letteralmente inchiodata alla lettura e conquistata senza lasciarmi altra scelta possibile.
Zucchero e catrame
Abbiamo solo le nostre parole, qui.
Qui è il carcere minorile Beccaria, in cui Cesare oggi è rinchiuso e da dove ricostruisce il passato che lo ha trasformato in un giovane criminale.
L’infanzia scorre in un paesino del Friuli con la mamma casalinga (scansafatiche), il papà barista (e contrabbandiere di sigarette) e il fratello Fabrizio, di poco più grande.
Costretto dai genitori a frequentare un collegio gestito da malefiche suore, Cesare si avvicina alla strampalata Ines – che soprannomina subito Lines -, con cui cerca di stringere un’alleanza per sopravvivere a quel primo anno di elementari.
Giorni difficili e neri, che mettono a dura prova le fragilità del bambino, in cui inizia a germogliare il seme dell’insicurezza sulla propria identità sessuale.
Giorni in cui Cesare cova la paura che quel suo essere diverso, sensibile ed effemminato, possa non farlo accettare e amare da chi gli è più vicino.
Un diverso che gioca con le Barbie e sogna di fare il parrucchiere, che non ha amici, che prova tenerezza e compassione per le lumache.
Che ancora non sa chi è e che si lascia essere dagli altri.
Non è vero che la suora non c’entra niente. Non è vero che Miss Raperonzolo non c’entra niente. Non è vero che la storia dei crimini, di tutti i crimini, è una storia breve che si consuma nel poco tempo impiegato per pensarli, ammesso che li si abbia pensati, e per commetterli, ammesso che li si abbia commessi. Non è vero che tutto si riduce alle poche righe di un verbale o alle pagine di una sentenza. Ogni crimine e invece una vicenda con radici lunghissime, pelose, intricate, affossate in un passato lontano, in apparenza irrilevante. Sono convinto che il primo germe che ha avvelenato la mia vita si sia insinuato dentro di me durante quel giorno di prima elementare, quando provai la sensazione di essere sbagliato, lurido, davanti alla suora e a mio fratello e a quel pubblico di bambini che, ne ero certo, iniziavano anche loro a pensare che io fossi sbagliato e lurido.
Passano gli anni e Cesare si ritrova a Milano, dove il padre ha voluto trasferire tutta la famiglia per proseguire i suoi loschi traffici da ricettatore di merce rubata.
La casa è minuscola, in un quartiere popolare dove i barboni e i tossici sono di casa al punto da essere riconosciuti da tutti.
È lì che Cesare conosce Gabriele detto Gabbo, un ragazzotto più grande, muscoloso, sfacciato, un bulletto aggressivo che ha una cattiva parola per tutto e tutti.
Il classico bel tenebroso complicato e difficile, da cui Cesare rimane morbosamente e inguaribilmente affascinato.
L’attrazione per Gabbo e la necessità di procurarsi denaro, portano il tenero e immaturo Cesare a cedere alla prostituzione e ai perversi vizi di un viscido uomo conosciuto dopo l’arresto del padre.
Al tabaccaio ci andavo malvolentieri, terrorizzato di incontrarci mio padre: di fatto però non lo vidi mai, lì dentro, dato che di giorno era occupato, come ci aveva detto, a fare il presidente della sua ben avviata azienda di trasporti. L’unico aspetto positivo del carcere, forse, è proprio questo: non sono più costretto a incontrarlo. A sentirlo tornare, a tutti gli orari, anche a notte fonda, accendere la luce o la tv, sbevazzare, pisciare con la porticina aperta, fregandosene del nostro sonno. Mi sono liberato di lui. La prigione è privazione di libertà, ma per me è stata, al contempo, una liberazione da tutti coloro che non voglio più incontrare. Da tutti coloro che mi hanno fatto male.
Ferito, abbandonato da tutti, mutilato dei suoi romantici sogni, Cesare è costretto a crescere e mutare, lasciandosi cadere in un vortice di degrado, sporcizia, disonestà e squallore da cui sarà difficile riemergere.
Scapparmene di casa, trovarmi un lavoro, ricominciare da capo, via da quel quartiere con i marciapiedi spaccati, la spazzatura per strada, le carcasse delle bici appese ai pali colpa, spolpate della sella, delle ruote, trasformate in rottami arrugginiti; via da quella casa per nani da circo, da quella madre sfaticata, via dal passato, via dal futuro: che volevo fare, dopo le superiori? Niente. Mi piaceva studiare? No. Mi piaceva lavorare? Che ne so, no. Il futuro non lo vedevo nemmeno, non c’era e quando riuscivo a immaginarlo mi faceva paura, era buio: come se davanti a me ci fosse un corridoio nero.
Giacomo Cardaci, con un linguaggio tanto sfrontato quanto sensibile, fa di Milano ciò che Pasolini fece di Roma, raccontandoci i sogni infranti e la vita di ragazzi ai margini, miserabili creature in bilico tra rabbia e disonestà.
Tra pagine di una levità sublime e altre buffe e spiritose come il candore infantile, Zucchero e catrame rivela la sua anima feroce, a tratti quasi disturbante, che si muove tra la prosa e i temi di Tondelli e gli spazi di Testori.
Il risultato finale di questo sapiente mischiare le carte dell’emozione, è una storia che difficilmente potrà essere dimenticata.
un libro per chi: non si lascia intimorire dalla durezza della realtà
autore: Giacomo Cardaci
titolo: Zucchero e catrame
editore: Fandango
pagg. 282
€ 17,50
Le tue parole ogni volta mi inchiodano, questo è finito tra i libri da leggere!
Azzurra, credimi, questo libro è tanto lieve quanto duro, mi ha colpita così tanto che ci penso ancora come se lo stessi leggendo di nuovo!
Sarà che racconta anche la Milano che vivo ogni giorno, sarà perché Cardaci non ci svela subito il perché Cesare sia finito in carcere, ma sono rimasta incollata alle pagine senza riuscire a staccarmene fino alla fine.
Aspetto quindi il tuo parere, quando lo avrai letto.
Belli, bellissimo. Duro ma toccante, disturbante appunto come scrivi tu. Mi ha ricordato a tratti la durezza del Cristiano di “Come Dio Comanda” di Ammanniti.
È un romanzo davvero speciale. Giacomo ha dosato meravigliosamente durezza e tenerezza, speranza e sconforto, sorrisi e commozione.
Proprio bello.