Una ragazza molto bella di Julián López, pubblicato da Polidoro Editore, è un romanzo breve ma densissimo, a tratti quasi soffocante, che riesce a togliere ossigeno vitale trasudando un’umida drammatica tristezza.
Una ragazza molto bella
C’è un bambino di otto anni senza nome, che qui ricorda una madre senza nome, una ragazza molto bella che viveva a Buenos Aires negli Anni 70 e si divideva tra il sentimento materno e la militanza politica contro la dittatura militare, entrambi bisogni primari.
È questo il fulcro di Una ragazza molto bella, una narrazione che per tutta la sua durata è pervasa di una tensione palpabile e pressante, che sapientemente si mescola alle piccole leggerezze che compaiono qua e là tra le pagine, nei momenti più fanciulleschi e innocenti.
Il figlio, nonostante la giovanissima età, riesce sempre a percepire il sottile dolore che permea il mondo degli adulti, che osserva sì con occhi di bambino ma sempre attentamente, in ogni più piccolo dettaglio, con una lucidità che non lascia cadere nel vuoto i sospesi e i non detti.
A volte mi pareva che i grandi consumassero cose orribili solo perché li aiutava a combattere contro il mondo. Potevo ancora capire il caffè e il mate amaro – adoravo il mio mate con latte e molto zucchero -, ma com’era possibile che a qualcuno piacesse il whisky, il Cynar, o il Pineral!, o le sigarette accese. Credevo che fumare fosse un piacere sensuale, fumavo le mentolate rubate allo zio e le fumavo spente, erano deliziose, un’attività molto complessa, che richiedeva un’attenzione che voleva essere distratta ma che era di una presenza assoluta. Mi piaceva fumare e poi mi permetteva di stare solo, di chiudermi in bagno e fare pratica davanti allo specchio.
La ragazza molto bella fa di tutto per non far pesare l’orrore di quegli anni sulla vita del suo bambino, eppure qualcosa filtra, la mancanza di libertà si fa sentire, l’oppressione che avanza fagocita gli spazi, lascia solo briciole che faticosamente si raccolgono per avere almeno un poco di respiro nelle quattro mura di casa.
Purtroppo però il male dilaga e, nonostante l’aiuto della vicina Elvira, adorabile cantante tanguera avanti con l’età e sempre pronta ad accudire e coccolare, la vita del figlio scalerà velocemente la vetta del dolore.
Mia madre era una ragazza molto bella, ma quando spingemmo la porta la trovammo raggomitolata sul divano, la faccia nascosta tra le ginocchia, le persiane completamente abbassate, senza nemmeno gli spazi d’aria tra i listelli. La luce scura proveniva dal televisore acceso, muto.
Cosa resta di una ragazza molto bella che un giorno scompare come tante altre persone, senza fare mai più ritorno?
Resta il dolore di un figlio, restano i ricordi che si mantengono in vita nella ripetizione di parole e gesti, nell’assunzione di abitudini che erano altrui e che si fanno nostre.
Su quei terreni si potrebbe costruire quello che ormai non esiste. Su quei terreni si potrebbe costruire il cimitero felice in cui abbiamo voluto che rimanesse la nostra memoria, un’estensione di prato dal mare fino agli scogli su cui sopravvive il mondo ideale che loro avevano sognato.
Resta lo sguardo verso il vuoto che non si colma mai, che condiziona tutto e che mai avrà risposta.
Julián López scrive un romanzo di formazione che è anche romanzo politico, che racconta la perdita dell’innocenza e degli affetti primari, lasciando a lettori e lettrici l’amara consapevolezza che in quelle pagine sia racchiusa una verità impossibile da accettare e che si deve continuare a ricordare, affinché non accada mai più.
un libro per chi: vuole aggiungere un tassello in più sull’orrore delle dittature
autore: Julián López
titolo: Una ragazza molto bella
traduzione: Sara Papini
editore: Alessandro Polidoro Editore
pagg. 166
€ 16