Sedici parole, romanzo d’esordio di Nava Ebrahimi pubblicato da Keller, non è solo una piacevole lettura.
È un viaggio vero e proprio in Iran, nei suoi profumi più intensi, negli effluvi del cibo preparato nelle case semplici; un viaggio attraverso la polvere e i colori, accompagnati dai suoni del traffico, delle chiacchiere da mercato, dalle grida dei müezzin.
Sedici parole
Mona è nata in Iran ma da sempre vive in Germania, dove si mantiene facendo la ghostwriter e dove ha da poco intrecciato una relazione schietta e semplice con Jan, un uomo da cui non riesce ad aspettarsi grandi cose.
È un rapporto d’amore e odio, invece, quello che la lega alla sua terra d’origine, in cui negli anni è tornata solo per amore della nonna, l’amatissima e sfacciata maman bozorg.
La nonna che è venuta a mancare da poco e che, ancora una volta, pare essere l’unico affetto capace di portare Mona ad affrontare il viaggio verso i luoghi da cui è più volte fuggita, attratta sì dalle proprie radici ma, allo stesso tempo, respinta dalle troppe contraddizioni di un paese diviso tra l’oro del passato e l’oscurità del presente.
Prima di entrare in una moschea, ogni volta provo un senso di avversione. Quando sono dentro, non vorrei andarmene più. Mi sento come deve sentirsi un bebè sopra un’immensa trapunta. Sazio di latte, coperto di borotalco, fasciato. Più di ogni altra cosa vorrei starmene giorni interi a rotolare qua e là sui tappeti persiani. Passerei le giornate a meravigliarmi della simmetria degli arabeschi che qui, in questa moschea, mi sembrano più intricati delle persone. Di notte non mi servirebbero cuscini né coperte, dormirei come un neonato si appisola sul seno di sua madre e i cui sogni di latte caldo caldo si avverano al primo battito di ciglia.
Con accanto la giovane madre, costretta a sposarsi a soli tredici anni, Mona arriva in Iran giusto in tempo per dare l’ultimo saluto a quella nonna sboccata e originale, determinata e vanitosa, carnale e seducente, e subito le tornano alla mente sprazzi di accadimenti del passato: di quando suo padre – medico rivoluzionario, molto più grande della madre – le lasciò perché troppo preso dalle proprie ideologie, di quando lo ritrovò più tardi negli anni, appena in tempo per vederlo ammalarsi e morire.
Al funerale di mio padre spunto fuori una donna circa della stessa età e inscenò una pantomima simile. All’epoca rimasti scossa e mi chiesi come potesse esserci una donna che, evidentemente, era stata così vicina a mio padre dalle restare tanto sconvolta dalla sua morte senza che io ne avessi mai saputo niente. Mio zio, che era venuto apposta dal Canada, vedendomi in difficoltà mi sussurrò che le donne che non avevano mai trovato un uomo andavano a tutti i funerali possibili per potersi lamentare a squarciagola del loro destino.
Mio zio, fratello di mio padre, era un uomo distinto. Mia nonna si sarebbe espressa diversamente. Avrebbe detto: quella fa così perché le prude la kos. Kos, la sua parola preferita. Faceva parte di maman bozorg come gli occhi verdi di cui era tanto fiera, come la voglia a forma di cuore sulla sua scapola destra, come i suoi alluci paffuti. che mettevano in ombra tutte le altre dita dei piedi.
Sono alcune parole persiane a riemergere dalle labbra di Mona, e da ognuna di esse sgorgano ricordi che, piano piano, vanno a comporre il puzzle della sua vita, dove uno dei frammenti più importanti, quello capace di dare un senso a tutti gli altri, è certamente Ramin, il classico amore tira e molla, quello impossibile da dimenticare e dal quale ritornare ciclicamente, nonostante le vite di entrambi abbiamo ormai preso strade molto diverse.
Ramin abbandona il capo sul poggiatesta con la fodera di pelliccia e chiude gli occhi. Il tassista chiude il taccuino. Tambureggia con le dita sul volante. Io sprofondo un po’ più un po’ di più nel sedile e alzo gli occhi verso Ramin. Dall’ultima volta, il suo viso si è infossato. Lì dove cominciano le orecchie si sono formate le prime linee sottili, visibili per il momento solo a chi è specializzato in quest’area del viso. Puntano verso il basso. La prova infallibile dell’età. Del fatto che non si è più giovani. Di avere più passato che futuro. Mi chiedo se negli ultimi due anni sono invecchiata anch’io così, o se dipende dal fatto che Ramin è diventato padre. Se ha dovuto pagare la paternità con gli ultimi resti della giovinezza.
Nulla è cambiato tra loro in tutti questi anni.
Il desiderio è sempre bruciante così come il dolore della mancanza sa ancora scottarle il cuore.
Ramin è come l’Iran, attraente e respingente allo stesso tempo.
E l’Iran è lì, parte integrante della loro incapacità di dirsi addio.
Mi sento sempre male. Prima di Ramin, dopo Ramin. Sentirsi male è parte integrante della nostra relazione.
Lungo questo viaggio, che avrebbe dovuto durare solo pochi giorni, Mona lascia che le parole le tornino alla mente e che lentamente colmino i vuoti dei silenzi della sua famiglia, di quel passato che probabilmente ha condizionato il suo presente e che forse, se sarà capace di accettarlo senza dimenticarlo, non turberà mai più il suo futuro.
Sedici parole che diventano amuleti capaci di sconfiggere i pesanti silenzi, trasformandoli in verità necessarie.
Sotto la doccia lascio che l’acqua bollente mi scorra un po’ addosso, per calmarmi. Mia madre è sempre stata così. Ho sempre avuto la sensazione di dovermi occupare di lei, e non è mai stato un problema. Ma ora che maman bozorg non c’è più e noi due siamo sole, la cosa mi spaventa, Mi insapono e mi sciacquo i capelli, persa nei miei pensieri. Quando afferro il flacone di narmkonande, mi accorgo che è quasi vuoto. Esco bagnata dalla doccia e ne prendo uno nuovo dal beauty-case. L’ultimo. Avevo programmato di stare via solo una settimana.
Il romanzo di Nava Ebrahimi trasuda profonda nostalgia da ogni pagina e allo stesso tempo lascia che da esse esploda un immane desiderio di liberazione, che sia dalle proprie radici, dalle menzogne o da un amore che non dà alcuna possibilità di fiorire come esseri umani.
Una storia che si muove tra profondi contrasti e che tutto risolve con il finale spiazzante, che lascia al lettore l’ebbrezza di una nuova prospettiva, piena di grazia e benevolenza.
Molto bello, da leggere tutto d’un fiato.
un libro per chi: ha un gran bisogno di viaggiare, dentro se stesso e verso il mondo
autrice: Nava Ebrahimi
titolo: Sedici parole
traduzione: Angela Lorenzini
editore: Keller
pagg. 330
€ 18