Sale di pietra, romanzo d’esordio di Maria Federica Baroncini, riesce fin dalle prime pagine a catturare l’attenzione di lettrici e lettori che vengono immediatamente trasportati in Romagna durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Sale di pietra
La Mafalda – con l’articolo davanti, perché in Romagna si usa così – è ancora una giovane donna quando si ritrova a dover accudire da sola i due figli, Albertino e Nina; l’amato marito Antonio è partito all’inizio della guerra per la campagna di Russia e non è più tornato.
Non voleva partire Antonio, voleva restare a Faenza a creare le sue ceramiche e a prendersi cura della sua famiglia, e se fosse stato solo avrebbe certamente disertato, perché fin dall’inizio aveva capito che quelle del Duce erano le pretese di un gradasso violento, pazzo e pericoloso, che avrebbe trascinato l’Italia in un baratro infernale.
E così Mafalda è sola con i suoi figli e con quella brontolona cocciuta della Lina, sua madre, quando nel settembre del 1943 viene firmato l’armistizio che rende ancora più pericolosa la vita di tutti.
Bologna viene bombardata e nemmeno la piccola Faenza può ritenersi al sicuro, questo Mafalda lo capisce molto prima di altri e subito s’ingegna per trovare un rifugio sicuro dove mettersi al riparo nei momenti peggiori.
Lei con sua madre si era sempre trattenuta. Era difficile che facesse sentire le sue ragioni, un po’ per rispetto, un po’ per timore di contraddirla, ma anche perché l’indole di saltare su non l’aveva mai avuta. Invece, avrebbe dovuto farlo più spesso, perché Mafalda sapeva ascoltare e, con poche notizie, vedeva lontano. E stavolta, le erano bastate pochissime parole per far breccia nella falsa sicurezza della Lina. Del resto, se lo immaginava che adesso anche sua mamma avesse paura di morire, così, da un momento all’altro, per caso, per un obiettivo sbagliato, per le schegge, per non riuscire a correre per tempo dentro un rifugio.
Quando i rifugi non bastano più e la vita diventa insostenibile, Mafalda deve rimanere lucida, trovare ancora altro coraggio, altra forza, per fare una scelta difficile e mettere al sicuro i suoi figli: lasciare Faenza e scappare in campagna, lontano dalle bombe e dalla distruzione.
Tra il 2 maggio e il 31 dicembre 1944, Faenza subì quasi cento bombardamenti. Talmente tanti, che a un certo punto si smise di contarli.
Anche le fogne erano diventate rifugi. Ora sì, che l’allarme antiaereo rallentava a tutti, ogni volta, l’attesa dell’Apocalisse: quel suono congelava ogni pensiero, annullava ogni speranza, costringeva le persone in cattività. Quando uscivano dai rifugi, attraversavano le strade circospetti come felini. Quel che dovevano fare, cercavano di farlo in fretta.
Seppure la miseria e le privazioni siano all’ordine del giorno, i pochi mesi trascorsi in campagna, ospiti di una coppia introversa ma affettuosa, sono per Mafalda e i suoi figli momenti in cui prendere un poco di fiato.
Il piccolo Albertino trova un amico nel taciturno contadino Minghì, che coltiva la terra solo con l’aiuto della moglie e che in quel bambino vede il figlio mai nato.
La coppia li accoglie con la generosità che spesso appartiene a chi ha poco da dare, a chi sa che dove si mangia in due si mangia pure in tre, quattro, cinque, sei…
Ma la guerra sembra volersi accanire proprio contro Mafalda e la sua famiglia e ben presto la donna si trova a dover prendere l’ennesima decisione per mettersi in salvo.
Quanto si può resistere quando la violenza, la fame, la paura, i sacrifici sono ormai l’unica certezza quotidiana?
Come e dove si può trovare la forza per andare avanti ancora, ancora e ancora, quando il peggio sembra non finire mai?
Per un attimo salvifico, Mafalda si era estraniata dalla guerra e si era abbandonata a quel paragone. E si era ritrovata. Si era vista provata, stanca e grigia in viso e nell’animo, ma viva e capace di concepire un pensiero nuovo che non riguardava solo la guerra, o le traversie che erano costrette a vivere. o la loro misera condizione. Si ritrovò libera di lasciar andare la mente, di vedersi, ma anche di immaginarsi come sarebbe stata tra uno, due anni, o forse solo tra sei mesi. Libera di indugiare nell’idea di un vuoto che si sarebbe riempito. Non sapeva quando e di cosa, ma non sarebbe sempre stato così. Libera di poter pensare anche di trovare un lavoro e di prendere il posto di suo marito, a guerra finita. Poteva pensarlo e poteva addirittura reggerne il dolore. Forse, la necessità di darsi una speranza era la conseguenza del coraggio estremo che stava dimostrando.
La storia di Mafalda è la storia di tutte le donne e gli uomini, dei vecchi e dei bambini, dei poveri ma anche di chi pareva avere vita facile, che la guerra l’hanno vista in faccia e che hanno lottato per sopravvivere all’orrore di anni di privazioni e dolore, di fame e di fatica.
Una storia universale che ancora oggi – o forse oggi più che mai – deve essere ricordata e tramandata.
Con Sale di pietra Maria Federica Baroncini raccoglie la testimonianza di chi quegli anni li ha vissuti e ancora li rammenta, e con una scrittura fresca e fluida ci offre un romanzo che diventa un tassello importante del bene più inestimabile per una civiltà che non voglia tornare regredire ripetendo gli stessi errori: la Memoria.
un libro per chi: non vuole dimenticare
autrice: Maria Federica Baroncini
titolo: Sale di pietra
editore: Pendragon
pagg. 155
€ 16