Dopo aver conquistato migliaia di lettrici e lettori con il suo romanzo d’esordio, L’equilibrio delle lucciole, Valeria Tron torna in libreria con Pietra dolce, una nuova storia di montagna, ancora una volta ambientata in Val Germanasca, la sua meizoun.
Pietra dolce
… sulle montagne i segreti fanno radice.
Il segreto si chiama Lisse.
Lisse senza la U, una lettera greve, simile a una gerla, che potrebbe predestinare quel bambino dato alla luce su un prato e subito abbandonato, condannandolo a portare sulle spalle troppi pesi.
Purtroppo non basta quest’intuizione di Ghit, la malgara che lo trova circondato da capre benevolenti e pronte a sfamarlo, e a Lisse la vita non risparmia il dolore della perdita.
La montagna protegge tanto quanto sa essere prigione feroce e nel 1967, a soli 27 anni, il giovane uomo che dalla valle non può fuggire perché non è mai nato, ha già visto morire tutte le donne che amava: le madri che l’hanno scelto, la sorella, la moglie e la figlia.
Lisse ha però ancora l’affetto di Mina, la donna che lo aveva accolto quando da ragazzino era rimasto solo, e l’amicizia di Giosuè, detto Frillobec.
Frillo che tartaglia e si mangia le parole, mentre il suo cuore custodisce certezze: che il mare non sarà mai bello quanto la cascata della sua montagna; che per Lisse sarebbe pronto a fare qualsiasi cosa; che il talco tra le sue mani può diventare ogni cosa, e non essere solo la pietra dolce e friabile che sta dentro ai suoi polmoni e alla miniera.
Quella miniera che ingoia uomini giovani e vecchi che scavano e rischiano la vita ogni giorno, in un buio senza diritti e con poche speranze.
Le prime ore valgono una medaglia al valore, non tanto per la compagnia, che è sempre meritevole, quanto per il sangue freddo. La montagna si muove, vuol digerire i colpi; i legni delle rimonte e delle traverse scricchiolano, avvisano, riportano la lingua della roccia, che finché non ci fai l’orecchio sembra volerti ammazzare e basta. Il flusso di sangue che ti tiene vivo, da quel momento in poi lo decide la tana. Fracasso, argani, compressori, motori di ventilazione, fango, pozzi, asfissia, buio, piaghe dell’umido e metamorfosi obbligata da uomo a roditore.
È proprio dopo l’ennesimo incidente in miniera che Lisse crolla, come se tutta la sua forza si fosse consumata nel salvarsi e nel salvare i compagni.
Il peso delle sue perdite, anche senza quella U nel nome, grava ancora sulle sue spalle ferite, per questo si rifugia nella baracca su al Praloup, dove è nato, lasciandosi andare a un’alticcia indolenza che lo rende irriconoscibile agli amici di sempre.
Non solo a Frillo, ma anche agli occhi del corpulento Lumiére, che da quando ha incontrato un fulmine sa divinare suggestive profezie inascoltate, e a quelli del saggio Tedesc, l’oste liutaio scampato alla persecuzione nazista.
Finché Mina, come quelle madri che tutto vedono e sanno, propone una soluzione per farlo tornare in sé.
Apre la porta, scansa i libri con la punta di un piede. La stufa è spenta, maledizione.
La riaccende, e poi solleva a bracciate i libri dal pavimento. Vorrebbe bruciarli. Lasciarli alle fiamme. «Tanto a che servono se non ho voglia di leggere» fa, ad alta voce. Ne cade uno: Il richiamo della foresta. Lo sfoglia. Guarda distratto le immagini, lo posa. Poi un altro: Ventimila leghe sotto i mari. Fa uguale e lo riposa. Poi ancora, finché non sono disposti e allineati sul tavolo.
Sente un brivido risalirgli la schiena, un vecchio sentimento sepolto da metri di gallerie e brillamenti. Sceglie un titolo, lo toglie dal suo spazio senza muovere gli altri. Sono tre file da sei in un puzzle da ricomporre.
Non gli sembrano più libri: sul tavolo c’è il suo cuore.
Alma, la giovane donna che viene da lontano in cerca delle proprie radici e di una musica nuova eppure già conosciuta, seminerà altri sogni nel cuore di Lisse e dei suoi moschettieri dei libri liberi.
Non c’è confine tra presente e passato quando la memoria è così viva da permettere che i ricordi, come il sangue, si trasfondano da una generazione all’altra.
Quasi cinquant’anni dopo ritroviamo Frillo ancora sui monti, accompagnato dall’asino Dante e da Bas, una corva affezionata e petulante.
Sarà l’arrivo del giovane Jul, che ancora non riesce a immaginarsi un futuro, a dare la spinta per rimettere insieme quella che è stata la storia di tutti.
Pietra dolce ci ricorda che ogni essere umano è una miniera in cui scavare, da cui estrarre parole; che ognuno di noi porta con sé storie, minuscole e immense, che meritano sempre d’essere raccontate e ascoltate.
Come ne L’equilibrio delle lucciole, Valeria Tron anche qui mescola con sapienza artigiana le parole – alcune più semplici, altre desuete, talune in patois (il dialetto locale), altre ancora ricercate per la loro bellezza intrinseca e non certo per affettazione e artificiosità – e cuce un arzigogolato e coloratissimo ricamo di esistenze che s’intrecciano attraverso il tempo, dimostrando che non esiste netta distinzione tra presente e passato.
Tutto è VITA, nel bene e nel male, nelle piccole e grandi cose.
Bisogna solo prendersi il tempo giusto – magari un po’ più lento di quello a cui ci ha abituati la consueta narrativa contemporanea da cui siamo inondati – per svuotare la mente e lasciarsi avvolgere dalle storie di questo libro e del mondo, riemergendo alla fine più ricchi, liberi e lucenti come pirite.
Perché, come sa bene Bas la corva, “solo se si è un po’ vuoti si può volare”.
un libro per chi: ancora non conosce il grande potere delle storie e vuole leggerne una che lascia il segno
autrice: Valeria Tron
titolo: Pietra dolce
editore: Salani
pagg. 448
€ 19