Articolo a cura di Tamara Malleo.
Ora che eravamo libere, il memoir del 1957 della giornalista olandese Henriette Roosenburg, pubblicato in Italia da Fazi, ci racconta quel sentimento che investe lei e le sue compagne di prigionia nel momento della liberazione, dopo la deportazione, il carcere e la condanna a morte.
Una sensazione di smarrimento costante, una nuova lotta alla sopravvivenza perché sole, in una terra sconosciuta, inconsapevoli ancora di quello che politicamente stava accadendo nel resto del mondo conosciuto.
Ora che eravamo libere
Nei giorni seguenti, comprendemmo che, malgrado fossimo liberi, la prigione era ancora la nostra casa e gli eserciti vincitori non avevano preso nessun accordo per riportarci alle nostre città di origine, a seicento chilometri di distanza da lì… ci avevano abbandonati a noi stessi.
Henriette, imprigionata nel carcere di Waldheim a causa della sua attività di staffetta partigiana e giornalista poi, era stata condannata a morte ma viene liberata prima dell’esecuzione nel 1945.
Da quel momento inizia questo viaggio, raccontato dalla stessa giornalista in prima persona, denso di dettagli, momenti, schegge di realtà atroce e crudele che ci ricordano quanto il male possa davvero esplodere in ciascuno di noi con violenza e spingerci a azioni feroci, causate dalla privazione, dal dolore, dall’assenza di umanità, dalla disperazione.
Allo stesso tempo c’è il racconto di quanto l’essere umano sia capace di amare nonostante tutto, di lottare per riconquistare la propria libertà e tornare ad avere fiducia nei propri simili nonostante l’orrore vissuto.
Roosenburg e le sue compagne devono aggrapparsi alle proprie capacità personali, proteggendosi e collaborando a vicenda, per attraversare la Germania e ricongiungersi alle proprie famiglie; nel frattempo però passano davanti ai loro occhi nazisti in fuga e soldati alleati, mentre devono affrontare situazioni da gestire con astuzia e intelligenza, senza perdere mai il controllo e non potendo mai abbandonarsi a un comprensibile scoramento.
Henriette nel campo di concentramento faceva parte degli NN.
Gli NN rappresentavano il gradino più basso della scala gerarchica dei prigionieri. Venivano rinchiusi in celle separate e spesso con trattamento di isolamento. Il fatto è che il corpo umano è capace di sopportare molte più privazioni di quanto comunemente si pensi, a patto che la mente abbia qualcosa cui appigliarsi, anche la cosa più sciocca.
Il viaggio verso casa si rivela umanamente impegnativo tanto quanto lo è fisicamente.
Tutta la crudeltà, l’orrore che ancora brucia nella mente dell’autrice e in quella delle sue compagne e compagni di viaggio, a volte non la rendono abbastanza lucida da ricordarsi chi era e capire chi è ora e chi ha davanti; c’è una costante scoperta e riscoperta di un’umanità che era stata dimenticata e una lotta contro pregiudizi e diffidenza.
Nonostante l’esperienza vissuta, dolorosa, angosciante, stremante, Henriette Roosenburg con Ora che eravamo libere ci consegna una testimonianza onesta, senza facili sentimentalismi, grondante di umanità e di momenti quotidiani che ci riportano alla realtà, restituendoci un senso di fragilità e di inquietudine ma anche un tributo alla vita, a una forma di resistenza che nasce dal desiderio di ricevere l’abbraccio dei propri cari dopo aver perso ogni speranza nel buio di giorni senza luce.
un libro per chi: vuole sapere cosa è successo “dopo”
autrice: Henriette Roosenburg
titolo: Ora che eravamo libere
traduzione: Arianna Pelagalli
editore: Fazi
pagg. 276
€ 18