L’Italia è un paese pieno di segreti: la strage di Ustica, quella di Bologna e quella di Piazza Fontana, la loggia P2, l’omicidio Calvi, il rapimento di Moro, la sparizione di Emanuela Orlandi.
Si potrebbe andare avanti a lungo, arrivando infine a citare il caso Wilma Montesi, probabilmene meno conosciuto ma altrettanto misterioso e, a quanto pare, altrettanto manovrato dai poteri forti.
Mario Pacelli, ex funzionario della Camera dei Deputati, con Non mi piacciono i film di Anna Magnani, pubblicato dalla casa editrice Graphofeel, ha compiuto una puntuale ricostruzione dei fatti che seguirono il ritrovamento del cadavere di una giovane donna sulla spiaggia di Torvaianica nel 1953.
Non mi piacciono i film di Anna Magnani
Il cadavere era quello di Wilma Montesi, ventunenne romana di modeste origini e con aspirazioni cinematografiche, il cui decesso fu subito classificato come incidente.
La giovane, secondo le prime ricostruzioni, era andata in spiaggia a fare un pediluvio per curare una vescica e, colta da malore, aveva finito per affogare in mare, senza nessun testimone.
Qualcosa, però, parve subito non tornare.
Perché Wilma aveva deciso di andare al mare dopo le 18? E perché alcuni suoi abiti e accessori non erano presenti sul luogo del ritrovamento?
Quello del medico condotto è un rapporto preciso, forse troppo per il tempo limitato avuto a disposizione, che tuttavia lascia adito a molti interrogativi. Come può una persona annegare in pochi centimetri d’acqua? che fine avevano fatto gli indumenti della ragazza morta che mancavano, e che si accerterà essere un bustino reggicalze, le scarpe, la borsa e la gonna? Come era giunto il cadavere in quel luogo? Si poteva pensare che fosse morta in un altro posto per essere poi trasportata, forse credendola morta, là dove era stata poi ritrovata? Qualcosa non quadrava, qualche tassello della vicenda iniziava ad apparire fuori posto.
Scartata l’ipotesi del suicidio e chiuso il caso come uno sfortunato incidente, tutto sembrava volgere verso l’oblio, quando la stampa si mise di mezzo insinuando dubbi sulle frettolose conclusioni e sugli scarsi risultati ottenuti da chi avrebbe dovuto indagare con puntualità e perseveranza.
Era l’Italia del dopo guerra, l’Italia governata dalla Democrazia Cristiana e che di lì a poco avrebbe vissuto il boom economico, con anni di benessere e apparente solidità politica.
Era una società che sembrava sicura di un fulgido avvenire ma in realtà estremamente fragile, priva com’era di valori fondanti che non fossero quelli della conquista del benessere individuale (o, al massimo, familiare).
Il caso Wima Montesi diventò ben presto un caso politico e non solo perché il primo sospettato fu Piero Piccioni – musicista e compositore jazz, figlio del vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli esteri, il democristiano Attilio Piccioni – ma soprattutto perché giorno dopo giorno emergeva il coinvolgimento di personaggi di spicco della Roma bene, quella dei salotti in cui borghesia, politica, clero e mafia amavano mischiarsi.
Lo scandalo fu tale e la stampa, quella di sinistra in primis, spinse talmente tanto per far emergere le stranezze delle idagini e il coinvolgimento della DC, che si arrivò persino a pensare di limitare la libertà d’azione degli organi di informazione.
Moro, solitamente molto cauto, giunse ad affermare che “la stampa ha potuto parlare con una certa libertà che non si può esitare a definire eccessiva in quanto non corretta da alcun senso di responsabilità”. Il discorso era molto chiaro: i giornali dovevano fare più attenzione a ciò che pubblicavano se si voleva evitare l’emanazione di norme restrittive della libertà di stampa.
A distanza di anni, nonostante le indagini e i processi, nonostante l’interessamento di diversi giornalisti e dell’intera nazione, il mistero sulla morte di Wilma Montesi rimane inviolato e nessuno ha saputo darne spiegazione credibile e realistica.
Mario Pacelli con questa sua personale indagine, fatta di ricostruzioni puntigliose sulla base di documenti, articoli e pubblicazioni, riesce ad appassionare anche chi, in quegli anni, non era nemmeno nato.
Utilissime le appendici finali con la cronologia essenziale e l’elenco di tutti i personaggi implicati nella scabrosa vicenda, senza le quali qualcosa potrebbe sfuggire al lettore meno attento.
Nonostante la presenza di qualche errore di battitura di troppo, Non mi piacciono i film di Anna Magnani è una lettura avvincente, come solo la realtà sa essere, meglio di un giallo e perfetta per una giornata di vacanza.
un libro per chi: non ha perso nemmeno una puntata di Telefono Giallo e Blu Notte
autore: Mario Pacelli
titolo: Non mi piacciono i film di Anna Magnani
editore: Graphofeel
pagg. 158
€ 15