L’istinto mi diceva che avrei amato questo romanzo, ma non mi aveva detto quanto.
Non mi aveva detto che l’avrei letto in poche ore e che poi lo avrei riletto subito, da capo, per imprimerlo nella profondità della memoria e non dimenticarlo mai più.
Edurne Portela con Meglio l’assenza, pubblicato da Lindau, ha scritto un romanzo di formazione doloroso e autentico, sullo sfondo della storia basca ai tempi dell’ETA.
Un libro che entra di diritto tra i migliori letti negli ultimi mesi.
Meglio l’assenza
Il romanzo di Edurne Portela intreccia una storia familiare di formazione con il tessuto politico e storico del Movimento Basco.
Amaia è nata negli Anni 70 in un paese spezzato dal tormentato desiderio dell’indipendenza e falciato dal terrore di attentati, rapimenti e morti improvvise.
Amaia non sa che tutta quella violenza sta a un passo da lei.
Vive con i fratelli più grandi Kepa, Aitor e Aníbal e ancora non si rende conto che il padre (aita) Amadeo è complice di quell’orrore mentre la madre (ama) Elvira si fa connivente inconsapevole, per debolezza e puro egoismo.
Per lei, ancora bambina, le scritte minacciose sotto casa sono scherzi incomprensibili.
Per lei è inspiegabile la rabbia del fratello maggiore Aníbal, soffocata nell’eroina e nell’alcool fino a trovare la morte.
Solo crescendo Amaia capirà l’orrore di essere figlia di un uomo violento e brutale, ben oltre i confini della famiglia.
«Ogni giorno assomigli di meno tua madre» mi dice.
Io penso che mi basta non assomigliare a lui, il resto non mi interessa.
«A chi assomigli? A me no di certo».
«Amadeo, non cominciare con la bambina».
«E gli altri due?»
«Non sono potuti venire».
«Bugiarda. Non hanno voluto, piuttosto».
Aita va al bancone a ordinare. Ama mi guarda con un’espressione spaventata. La stessa espressione spaventata di sempre. Dopo un po’ aita torna con una birra.
«Non so perché mi ammazzo di lavoro, se poi quei due disgraziati si comportano come se non avessero un padre».
Ama non dice niente.
Mentre la famiglia si disgrega e ognuno pensa alla propria salvezza – Elvira affogando nell’alcool, Aitor concentrandosi sullo studio, Kepa lasciandosi attrarre dalla lotta armata – Amaia trova rifugio nei libri, senza mai smettere di osservare il mondo che le crolla addosso.
E in una Bilbao ormai militarizzata, prende atto che la violenza è ovunque, pronta a togliere anche le ultime speranze a chi cercava di restarne fuori.
Mi faccio una passeggiata verso la libreria. Mentre mi avvicino alla vetrina vedo che è ricoperta di scritte rosse e gialle: «fascisti», «ispanofili» e il solito bersaglio. Ai lati della porta sono piantati due uomini con la giacca, massicci come armadi, in posizione marziale. Mi fermo a qualche metro di distanza. Vedo che diverse persone passano lì davanti senza guardare la vetrina né le due guardie. Una donna, immagino con le mie stesse intenzioni, si è fermata davanti alla porta, poi si è girata e se n’è andata. Un’altra si avvicina, si porta la mano alla bocca ed entra salutando i due uomini. Io rimango ferma. Una delle guardie mi vede, mi fa un sorrisino e un cenno con la testa, come per invitarmi a entrare. Mi volto e me ne vado anche io.
Sono ancora troppe le domande senza risposta.
Perché aita è sparito?
Perché lascia che lei e i suoi fratelli vivano nella miseria?
Perché ama continua a difendere quell’uomo meschino e a spingere affinché Amaia mantenga un legame con lui?
Le risposte inizieranno ad arrivare nell’estate dell’adolescenza, quando Amaia sarà costretta da Elvira a trascorrere le vacanze in Galizia col padre.
Una vacanza da cui dovrà fuggire, sconvolta e tumefatta, ferita e cambiata per sempre.
«Dov’eri, puttana?».
Non capisco. Ha detto puttana.
«Ti ho fatto una domanda».
Mi si avvicina troppo. Torno dentro la stanza.
«Aita…».
«Con chi eri, puttana?».
«Aita…».
Mi spinge. Cado a terra, su un gomito. Un male cane.
«Cosa ci facevi con quello là?».
Un calcio nelle costole. Mi manca l’aria.
«Parlavo…».
Un altro calcio. Mi prende per i capelli e tira verso l’alto.
«Cosa ti ha raccontato?».
«Niente, aita, non mi ha raccontato niente. Lasciami, per favore».
«Puttana come tua madre, eh?».
Mi tira ancora di più i capelli. Con l’altra mano mi dà una sberla.
«Puttana come lei, puttana come lei».
Lo ripete mentre continua a picchiarmi. Calci nella schiena. Pugni sulla testa. Ho la nausea. Un calcio nello stomaco. Un conato. Sento la bile che risale. Continuo a sentirlo dire puttana, puttana, puttana.
Tra pagine di disarmante dolcezza – come quelle in cui ad Amaia viene il ciclo, lontana da casa e rassicurata dalla madre di un’amica – e altre d’inclemente durezza – la perdita della verginità, gli scontri con la madre -, il romanzo di Edurne Portela non teme di mostrare l’umana violenza per quel che è e per i suoi devastanti effetti su chi la perpetra e la subisce, che siano adulti e bambini, vittime e carnefici.
Non sono più tornata a casa di mia madre dopo il giorno in cui mi annunciato il ritorno di mio padre, dopo chissà quanti anni. Dieci, quindici? In tutto questo tempo non ha mai smesso di sentirlo e di ricevere i suoi soldi. Non capirò mai il patto che hanno stretto, la necessità che mia madre ha di mantenere quel legame, la presenza di mio padre nella sua vita malgrado i maltrattamenti, l’abbandono, l’assenza. Non può essere solo una questione di soldi, deve esserci qualcos’altro; e anche mio padre non può farlo solo per mantenere il controllo su di lei.
La liberazione di Amaia, infine, arriverà solo molti anni più tardi, con l’età adulta e l’accettazione che nulla avrebbe potuto fare, lei che era solo una bambina con una famiglia a pezzi, una ragazzina sola e arrabbiata, una basca costretta a vivere in un’epoca di terrore.
E se il perdono non sarà mai rivolto al padre, almeno la clemenza verso se stessa saprà restituirle il respiro e la vita.
Feroce e indimenticabile, assolutamente da leggere.
un libro per chi: ha subito un danno e sa di poter sopravvivere (cit.)
autore: Edurne Portela
titolo: Meglio l’assenza
traduzione: Thais Siciliano
editore: Lindau
pagg. 286
€ 19