Teresa Ciabatti ha un talento immane: scrive storie che non si possono abbandonare, nemmeno per cinque minuti.
Anche Matrigna, romanzo uscito da pochi giorni e che arriva dopo il tanto discusso La più amata, si legge senza sosta, in poche ore.
Ore in cui non si può prendere fiato, mentre si viene trasportati al centro di una vicenda torbida e angosciante.
Ore in cui il tempo sembrerà fermarsi, lasciandovi sospesi nella storia di Noemi e della disgrazia che ha colpito la sua famiglia.
All’ultima pagina, tornerete a toccare terra.
E, forse, ne sarete sommersi.
Matrigna
Noemi aveva nove anni quando il fratellino Andrea scomparve.
Lo teneva per mano, ma non abbastanza forte per non perderlo nella folla di un carnevale di paese.
Il bambino – bello, biondo (forse tinto?), fotogenico, amato ossessivamente dalla madre Carla – non tornerà più a casa.
Noemi – interrogata, analizzata, sottilmente accusata – cresce e ha un solo pensiero in testa: allontanarsi dalle scarse ambizioni della vita in provincia, fuggire in città – ospite della nonna – e tagliare con il passato.
Non vuole più essere la sorella del bambino scomparso, il suo unico desiderio è emanciparsi da quel ruolo ingrato, scoprendo ciò che la vita può offrirle.
Nonostante i sensi di colpa nei confronti dei genitori, che ora dovranno vivere nella solitudine del loro matrimonio, Noemi non si volta indietro e parte per la città.
Togli a un matrimonio i figli, sottrai i figli, e vedi cosa resta.
Là, nonostante i ricordi confusi di quel passato che a volte è armatura e a volte mantello, riesce finalmente a costruirsi una vita.
Conosce un ragazzo, Davide, si laurea, trova lavoro e continua, determinata e instancabile, a plasmare una vita che può controllare.
L’amore con Davide è stabile e quieto, lui la comprende, non le sta addosso, la lascia libera di non condividere tutto il suo mondo e di tenere per sé quella parte di passato irrisolto.
Accetta persino di non starle accanto e non accompagnarla a casa, ricevuta la notizia della morte prematura del padre per infarto.
La quiete il vero bene. Giorni passati insieme senza strappi, addormentarsi, svegliarsi, andare, tornare, parlare, ridere, ridere (ha riso troppo, pianto poco, non importa più).
Ma il passato è una bestia silente, che torna a mordere, feroce e inaspettato.
Basta una telefonata e Noemi deve rientrare al paese.
La madre ha avuto un incidente automobilistico ed è ricoverata in ospedale.
Noemi corre al suo capezzale. Nulla di grave, solo qualche costola rotta ma il vero problema è un altro.
Guardinga e fomentata dalla zia paterna, la figlia meno amata si ritrova di fronte una madre diversa, giovanile, allegra, entusiasta.
Dov’è finita la donna invecchiata precocemente, depressa, straziata dal dolore della perdita di Andrea, vedova inconsolabile di un marito morto troppo giovane?
Cos’è la giovinezza quando non ce l’hai più? Un applauso in lontananza.
Abituata da sempre all’idea di rimanere sola e di perdere anche la madre in circostanze violente – pensieri malati che si trasformano in scudo contro il dolore – Noemi si rende finalmente conto che il passato da cui ha voluto fuggire con forza, ora deve essere custodito e protetto.
Forse addirittura affrontato.
Non so se definirlo pudore, o consapevolezza di quanto fosse inutile disperarsi. Avevo imparato che per tutte le lacrime, e le richieste d’aiuto, ti ritrovi comunque sola a tapparti le orecchie in una cantina buia, fuori il terremoto.
Matrigna è un romanzo che sembra voler raccontare l’irrisolto mistero della scomparsa di un bambino, per poi addentrarsi nell’analisi profonda di un mistero ancora più grande e universale: il difficile equilibrio dei rapporti famigliari.
Teresa Ciabatti, con il suo sguardo icastico e con quella solita straordinaria capacità di restare in bilico tra candore e malizia, indaga le difficoltà dell’essere madre e dell’essere figlia, senza alcun timore di affrontare il terribile tabù che in ogni casa è nascosto sotto il tappeto: l’incapacità (del tutto umana) di amare i figli allo stesso modo.
È per questo prezioso talento narrativo che lei, per me, rimane ancora la più amata.
un libro per chi: ancora pensa a Emanuela Orlandi…
autore: Teresa Ciabatti
titolo: Matrigna
editore: Solferino
pagg. 204
€ 16,50
Molto molto molto bene, la tua amata Ciabatti! Come non ricordare la presentazione de La più amata a cui assistemmo insieme? Che spettacolo di serata! Dunque, l’inizio della trama di questo mi ha ricordato La solitudine dei numeri primi, libro – posso dirlo? – assaissimo sopravvalutato a mio avviso. Il tema è di sicuro avvincente e presente anche in Sonno bianco. Un abbraccio
È proprio la mia amata!
Spero di rivederla a Bookcity, oggi esce il programma e mi auguro di trovare un appuntamento con lei e questo suo libro.
Buona giornata Sandra, un abbraccio forte!
Ho letto “Matrigna” dopo “La più amata”.
Un po’ ho ritrovato qualche tema in comune, come l’incomunicabilità ed il conflitto figli-genitori,
Nei due romanzi la trama ti prende, una suspence da vero thriller, sostenuta dal continuo dispiegarsi dei fatti nel passare continuamente dal passata al presente e viceversa.
La cosa che non accetto in Matrigna è l’assenza di dettagli della sparizione del ragazzo dopo il suo ricomparire da adulto. Al giorno d’oggi è possibile tenersi un figlio e crescerlo senza incappare nella burocrazia delle anagrafi? Tanto più che la scomparsa era stata oggetto di una campagna di stampa morbosa? Può darsi, tutto è possibile… ma non mi convince.
Il bello dei romanzi, a mio avviso, è che possano discostarsi dalla realtà, senza costringerci a vivere la burocrazia in cui siamo immersi ogni giorno fino al collo.
Ma questo è solo ciò che cerco io in alcune letture, durante la quali lascio che la ragione si lasci sorprendere da altri fattori per me ben più importanti.
Capisco, e sono d’accordo. Ma io mi riferisco al tipo di racconto che tutto sommato è realistico (quasi un thriller). Non surreale.
Di solito nel romanzo realistico si presuppone che la mancanza di dettagli fra il prima e il dopo, in corrispondenza di un salto temporale, venga colmato dall’intelligenza del lettore con una sequenza logica facilmente deducibile. Nel caso di Matrigna, il ritorno di Andrea-Luca non si spiega facilmente. Come ha vissuto dall’infanzia in poi? E’ stato tenuto nascosto? E’ stato rapito? Si è smarrito ed è stiato recuperato dai proprietari del negozio di animali? Come hanno giustificato la comparsa del ragazzo nella loro famiglia? Come l’hanno inserito nello stato di famiglia? Quando è andato a scuola quali documenti hanno presentato? Come vede io – come, penso, anche tanti lettori – mi sono posto questi interrogativi. Ma non c’è una sequenza logica plausibile nel giustificare il finale della trama. D’accordo che lo scrittore è libero, ma ha un dovere di onestà nei confronti dei lettori.
Non ho capito una cosa, alla fine luca è realmente il figlio o è un’illusione?
Saluti da Federico
Ciao Federico!
Io credo che il finale sia volutamente aperto e ambiguo, per lasciare a ogni lettore la sua personale visione dei fatti.
Per quanto mi riguarda, ho il forte sospetto che sia stato tutto un grande equivoco…
Io ho letto il romanzo come la difficoltà a riconoscere nella propria madre una donna, capace anche di innamorarsi di un ragazzo molto più giovane, in cui vede o non vede un figlio, che forse se ne approfitta, o forse no. In questo senso, l’incapacità della protagonista, troppo coinvolta emotivamente, di vedere le cose con obiettività, mi è piaciuta.