Quanto ancora si può scrivere del ventennio fascista, senza perdere originalità e attrattiva?
Ritanna Armeni – dopo una lunghissima e florida carriera di giornalista, saggista e conduttrice televisiva – riesce anche in questa impresa, pubblicando per Ponte alle Grazie il suo primo vero romanzo, Mara. Una donna del Novecento.
Una storia solo apparentemente al femminile.
Mara
Mara è solo una ragazzina di tredici anni quando inizia a raccontarci la sua storia. Una delle tante ragazzine e donne invaghite del Duce, l’uomo possente che promette di difendere gli italiani, di proteggerli e di renderli sempre più ricchi invadendo altri paesi e soggiogando altri popoli.
Con la sua amica Nadia ogni sabato Mara indossa la divisa delle Giovani Fasciste e in una Roma ancora apparentemente scintillante e fiorente partecipa agli incontri organizzati dal regimr, con quell’esaltazione adolescenziale che non vede altro che i pregi dei propri miti.
Abbiamo visto il Duce, innanzitutto, che ha pronunciato un discorso magnifico. È straordinario, forte e buono, il suo volto dà fiducia, quando fa il saluto romano strappa un urlo di gioia. Il grido «Duce, Duce» viene proprio dal cuore.
È un mondo al maschile quello dei fasci. Le donne devono essere brave mogli e buone madri, disposte a procreare parecchio per aumentare la popolazione italiana e, di conseguenza, il peso della nazione agli occhi del mondo.
Poi sì, la forma fisica è importante anche per il gentil sesso. Le bambine devono iniziare subito a prendersi cura del proprio corpo, per diventare adulte forti e in grado di sostenere gli uomini, di curarsi dei figli e della patria.
Un mondo di mogli e madri indottrinate, che giustificano le scappatelle del Duce (e dei propri mariti) perché si sa che gli uomini sono fatti così e poi di certo sarà colpa delle altre donne, poco di buono che non non lo lasciano in pace.
Ma Mara non ci sta.
Ama con devozione Mussolini, così come ama la propria famiglia, ma di sera, quando sta per addormentarsi, sogna un futuro da scrittrice e da donna indipendente, in eleganti e pregiati abiti che facciano risaltare la sua professionalità, ispirandosi alla cara Zia Luisa, fascista devota, raffinata, filantropa.
Quelli prima di addormentarmi, quando la giornata è finita, sono momenti belli. Nessuno interrompe il flusso dei pensieri che si muovono liberamente e, lasciati vagare dove vogliono, si alzano in volo, a volte mi stupiscono, a volte vorrei fermarli, spesso mi regalano momenti di gioia. La sera, rannicchiata sotto le coperte, mi immagino fra qualche anno, quando avrò finito il liceo e comincerò l’università e poi avrò un lavoro.
Crescendo, Mara e Nadia continuano a venerare il loro benamato Duce. È il padre che ha istituito l’Onmi, per prendersi cura di madri e bambini; è il condottiero che chiede sacrifici al suo popolo ma lo fa nel nome della crescita della Patria; è la mente brillante che ha concesso all’atleta Ondina Valla di gareggiare e vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino.
Ed è soprattutto l’uomo potente che ha saputo prendersi l’Etiopia senza troppa fatica.
Il Duce ha dimostrato ancora una volta di meritare la nostra fiducia e il nostro amore. Sì proprio l’amore. Non si può non avere trasporto e un sentimento intenso di devozione per chi ci protegge, ci guida e ha così a cuore il nostro benessere e la nostra felicità.
È nel 1938 che in Mara iniziano a sorgere le prime incertezze. La pubblicazione su Il Giornale d’Italia del Manifesto della razza, e la conseguente partenza dei vicini di casa, la famiglia ebrea Piperno con cui si andava d’amore e d’accordo, le instillano il dubbio che qualcosa stia mutando il negativo.
Poi l’entrata in Guerra, la fame, la paura di morire sotto le bombe, tutto mira a farle perdere fiducia in quell’uomo possente dallo sguardo fiero e feroce.
Eppure Mara non cede, non ancora.
Il Duce ha ragione a non dire proprio tutto: non vuole spaventare, sa che basta poco perché la gente si deprima e pensi che tutto vada male. Non c’è certo bisogno di cattive notizie quando la vita è dura e comincia a essere scarso persino il pane. Per questo i giornali dicono solo una parte della verità.
Mara continua a mentire a se stessa, così come fanno molti altri fascisti che non vogliono prendere atto che la ricchezza, le terre promesse, il benessere, la pace siano ormai intenti lontani.
C’è solo la guerra, che Mussolini non sa gestire, mandando a morire soldati giovani e vecchi e lasciando a casa, a patire gli stenti, le donne che devono provvedere ai figli affamati e terrorizzati.
E i sogni? I sogni di studiare, laurearsi, scrivere, essere indipendente, lavorare come un uomo, poter parlare com’è concesso a un uomo?
Per Mara i sogni saranno a lungo archiviati, perché il fascismo alle sue donne chiede una silenziosa venerazione e rassegnati sacrifici.
Ritanna Armeni scrive un magnifico e coraggioso romanzo storico e di formazione, che ripercorre buona parte del Ventennio indagando i sogni e le tragedie di una giovane donna fascista che qui rappresenta gran parte delle donne dell’epoca.
Alternando la storia di Mara a brevi corsivi di approfondimento storico sulla figura femminile e sulle battaglie delle donne, la Armeni ci regala uno spaccato veritiero di quel che è stato il fascismo per i singoli individui e per la società intera.
Non c’è giudizio e non c’è punizione senza assoluzione per Mara, per la sua amica Nadia, per la zia Luisa e per tutte le altre donne protagoniste di queste trecento appassionanti pagine che scorrono veloci.
Sono le donne che hanno mantenuto in piedi l’Italia mentre molti uomini tentavano di annientarla, poco importa se stessero dalla parte giusta o sbagliata.
un libro per chi: continua a domandarsi “Com’è potuto accadere?”
autore: Ritanna Armeni
titolo: Mara. Una donna del Novecento
editore: Ponte alle Grazie
pagg. 295
€ 16.80