Mai avrei pensato di cimentarmi con un libro che parla di ciclismo!
È infatti nota al mondo intero la mia avversione per lo sport in generale e la mia idiosincrasia per la gente in calzoncini che corre su due ruote.
Oggi però sono costretta a ricredermi, perché Magnifici perdenti, romanzo d’esordio dell’inglese Joe Mungo Reed, mi ha piacevolmente costretta ad avvicinarmi a quel mondo finora così distante dai miei interessi.
Magnifici perdenti
Sol è un ciclista professionista al culmine della carriera, impegnato a correre il faticoso Tour de France.
È un gregario, ovvero una semplice ma fondamentale pedina a servizio del capitano della squadra Fabrice, intelligente, educato e brillante numero uno, sempre pronto a fare battute di spirito.
Ho tenuto discorsi a eventi sportivi, persino inaugurato negozi di biciclette. E ogni volta, chiunque mi presenti dice sempre che il Tour è la competizione sportiva più dura al mondo. Io sono solo un reperto, la prova che quella gara appartiene alla sfera umana. Sono lì come per caso, alla stregua di un bullone caduto da una astronave disintegrata e poi recuperato in un campo di mais, a dimostrazione che tutto il movimento e la brutalità sono esistite davvero. Accetto questa prospettiva, perché nobilita l’attività, dà dignità al fatto che io stia invecchiando e mi sia distruggendo per lei.
Il capitano Fabrice corre per vincere quella che è riconosciuta come la gara più impegnativa per un ciclista, ma non può certo farlo da solo.
Rafael, il direttore sportivo, sceglie la squadra, pianifica le strategie, passa le informazioni al gruppo, sprona tutti a fare del proprio meglio.
E il meglio, ahinoi, è fatto anche di miracolose goccine di testosterone, che i ciclisti assumono durante la gara per avere una marcia in più ed essere competitivi al massimo.
Dopo le iniezioni, qualcosa ci spinge alla solitudine, come se temessimo che stare insieme rendesse le nostre attività sospette, come se il nostro riflettere su ciò che abbiamo fatto potesse diventare palpabile, tracciabile nell’aria.
Sol è molto bravo a sottoporsi alle cose che non gli piacciono: dalle sedute dal chiropratico all’alimentazione ripetitiva e iperproteica, dal dormire ogni notte in un posto diverso e lontano dalla famiglia all’accettare di usare il doping.
Quest’ultima incombenza l’ha concordata anche con Liz, sua moglie, ambiziosa ed entusiasta ricercatrice genetica, mamma di Barry e ora anche corriere di sostanze dopanti, al seguito del Tour.
Liz respira a fondo. Io resto in silenzio. «Lascia che lo faccia per te» dice.
Perché non ho pensato che lei, riguardo la mia professione, potesse sentirsi come me riguardo alla sua? Perché non avevo immaginato il suo desiderio di venirne coinvolta?
«Sei sicura?» dico.
«Certo».
«Va bene» dico. «Le fiale. Solo le fiale».
In un crescendo di vicende tragicomiche, drammatiche e spiazzanti, Joe Mungo Reed, con l’eleganza e sottigliezza very british, ci accompagna nello spietato mondo del ciclismo agonistico di livello mondiale, attraverso una narrazione semplice ma penetrante che va ben oltre la letteratura sportiva.
Magnifici perdenti è un romanzo che rivela tutta l’asprezza della fatica e ne evidenzia la costante presenza sia nello sport che nelle relazioni amorose: il ciclismo per Sol non è solo un mestiere e una passione, ma è anche una grande e prolungata tortura, esattamente come il matrimonio, che non è fatto solo di idilliaco amore ma richiede fatica e disciplina, costanza e sopportazione.
Si riflette parecchio, tra amarezza e sorrisi.
un libro per chi: s’è sempre domandato cosa spinga un ciclista a fare tutta quella fatica…
autore: Joe Mungo Reed
titolo: Magnifici perdenti
traduzione: Daniela Guglielmino
editore: Bollati Boringhieri
pagg. 253
€ 17,50
Tre domande a Joe Mungo Reed
Hai trattato l’argomento doping in modo molto dissacrante e ironico, anche se nella realtà è un dramma e di certo con il tuo libro lo evidenzi. Pensando ai ciclisti più noti che sono stati coinvolti in questa cosa, da tra cui Lance Armstrong a Marco Pantani, c’è stato un episodio in particolare che ti ha ispirato?
Mentre scrivevo il romanzo stava proprio emergendo l’episodio di Armstrong. Ho letto tantissime cose riguardanti il doping nelle diverse epoche ciclistiche, e sono stato colpito dai dettagli strani e al tempo stesso comici. Per esempio, mi ha divertito scoprire che l’Eritropoietina, la sostanza assunta dai ciclisti e comunemente detta EPO, era stata soprannominata EAP, acronimo di Edgar Allan Poe. Un nickname giocoso facilmente riconoscibile, ma evidentemente sottovalutato dai suoi utilizzatori.
Tutto ciò ha reso molto umano l’utilizzo del doping.
La tua scrittura è decisamente molto cinematografica e la storia, a mio avviso, sarebbe un soggetto perfetto per diventare una serie televisiva. Miravi a questo risultato mentre scrivevi?
No, in realtà mentre scrivevo non lo pensavo, perché sarebbe stata una distrazione, però se qualcuno si facesse avanti con la proposta di farne una serie televisiva non potrei che dire “Evviva!”.
Sicuramente è stato importante l’elemento visivo, perché si tratta di un romanzo con un argomento prettamente sportivo, per cui è stato fondamentale anche descrivere il paesaggio, i colori, i tempi. Io però mi sono concentrato sulle parole e sul loro senso, non sul potenziale cinematografico.
Se dovessi scegliere un attore per interpretare Sol, il protagonista, a chi penseresti?
Il problema è che moltissimi attori sono fisicamente robusti e ben piazzati, mentre per interpretare un ciclista servirebbe qualcuno molto più simile al Gollum de Il Signore degli Anelli, quindi ti dico che Andy Serkis potrebbe andare bene.