È una storia di amicizia così profonda da diventare sorellanza quella che ci racconta Anna Bardazzi in La felicità non va interrotta, il suo romanzo d’esordio pubblicato da Salani nella nuova collana Le Stanze.
Sullo sfondo, una Bielorussia da conoscere e imparare ad amare e lo spettro del disastro di Chernobyl, di cui a breve si ricorderà il trentacinquesimo anniversario.
Sarà questo il libro protagonista dell’incontro del gruppo di lettura Absolute Beginners del 9 giugno.
La felicità non va interrotta
Anna e Lena si incontrano per la prima volta a sette anni: la prima vive in Italia con la sua amorevole famiglia, papà Alessandro e mamma Lucia, mentre la seconda è appena scesa da un aereo che arriva dalla Bielorussia, giunta a migliaia di chilometri da casa – come tanti altri bambini – per “pulirsi” dalle radiazioni che la centrale nucleare di Chernobyl ha sparso ovunque intorno a sé solo qualche anno prima.
Superata la perplessità iniziale e il timore di vedere l’affetto dei genitori dimezzarsi, Anna si lega subito a Lena in una relazione viscerale ed elettiva, nonostante le difficoltà linguistiche, le abitudini e i caratteri profondamente diversi.
In un solo mese di convivenza, tra bagni di schiuma nella vasca, gite al mare e vestitini condivisi, le due bambine sentono di essere diventate sorelle e il ritorno di Lena in patria – dove ha lasciato la nonna Sasha, il fratellino disabile Sergej di cui si occupa amorevolmente e il terribile fratello maggiore Dima – non riuscirà a interrompere il loro legame.
A sedici anni Anna chiede ai genitori di far tornare Lena in Italia.
Non ha mai smesso di pensare a lei e di dedicarsi con fervore anche a un grande sogno: studiare, diplomarsi, laurearsi e specializzarsi per cambiare il destino della Bielorussia, per renderlo un posto migliore e dare a Lena la vita che merita.
Quel giorno dell’estate dei nostri sedici anni, ci era bastato incontrarci di nuovo per sceglierci definitivamente. Ci eravamo date la mano e avevamo camminato verso l’auto sorridendo con lo sguardo a terra, e le nostre dita, proprio come i nostri cuori, non si erano più separate.
Decisi che non l’avrei lasciata mai, quella sorella dal viso di bambola che viveva in un posto così lontano che forse non avrei visto mai, ma che pure mi attirava come lo zucchero attira le vespe, con una potenza che non avevo mai sentito per nient’altro.
Nonostante l’offerta di Lucia e Alessandro di pagarle gli studi in Italia, mentre Anna si trasferisce a Parigi per seguire il suo sogno, la giovane decide di tornare dalla nonna e in quella che per lei sarà sempre casa.
Perché la Bielorussia è sicuramente una nazione povera, che vive enormi difficoltà, governata da troppi anni da un politico che guarda perlopiù al proprio interesse, ma è anche una terra che sa accogliere e amare, in cui le persone sanno esserci davvero le une per le altre, in cui prendersi cura dei parenti, degli amici e dei vicini di casa è qualcosa di così spontaneo e naturale da essere parte della vita quotidiana.
Una terra in cui le radici di tutti sono così ramificate da diventare un unico organismo vivente.
Ancora una volta penso a quanto sia sorprendente che la gente viva così bene, qui, quando ci hanno sempre raccontato che c’è un’emergenza, che bisognava raccogliere fondi, che Lukashenko e la Russia se ne sono sempre fregati, dei pezzenti che erano rimasti e pure di quelli che avevano tolto con la forza dalle loro case.
La stessa Anna nei suoi tanti viaggi in Bielorussia – per studio e lavoro, ma soprattutto per ritrovare Lena, baba Sasha e anche Igor, l’amore impossibile con cui si logora fin da ragazzina – sentirà crescere dentro di sé quelle inarrestabili radici, quel legame eterno che tutti noi abbiamo con il luogo in cui siamo nati.
E mentre Lena, ormai madre della piccola Nastia, si divide tra la capitale Minsk, dove porta avanti il difficile lavoro di procuratore mettendo in galera criminali violenti, e le campagne in cui è cresciuta, Anna deve imparare a colmare le proprie inquietudini, le mancanze che non vuol ammettere di sentire.
Fino a quado una dolorosa confessione di Lena metterà tutto in discussione.
Per molto tempo ho odiato il comunismo con tutta me stessa, ho litigato con baba Sasha, con i suoi amici, con gli anziani che mi è capitato di incontrare. Come potete dire che era un bene? Come potete sostenere che un uomo che ha mandato a morte milioni di persone era un grande uomo?
Con gli anni ho capito che non si tratta del comunismo. Che non basta studiare sui libri di storia, che non avrei mai capito veramente cos’era l’Unione Sovietica se non fossi venuta qui, se non ne fossi diventata parte, in qualche modo, io stessa. È tutto molto più complesso di quanto dicano i libri, i politologi, i sociologi e i premi Nobel: senza vivere in questo ‘tempo di seconda mano’ è impossibile a capire davvero cosa si cela dietro i casermoni brutalisti e le parate nostalgiche.
Anna Bardazzi, con La felicità non va interrotta, senza mai peccare di eccessivo sentimentalismo ci racconta una storia di affetti che, pur non essendo autobiografica, pesca tracce dal vissuto dell’autrice e per questo risulta vera, viva, reale, come i profumi delle betulle e dei boschi, come i sapori degli innumerevoli cibi che troviamo tra le pagine, come le gioie e i dolori di chi ama fino in fondo, senza mai tirarsi indietro.
Un romanzo pieno di dettagli, di piccole cose preziose, come un vecchio album fotografico di famiglia, in cui rivedere chi abbiamo amato, forse solo per un attimo, magari ancora e per sempre.
un libro per chi: ha i pensieri rivolti a Est
autrice: Anna Bardazzi
titolo: La felicità non va interrotta
editore: Salani
pagg. 268
€ 16