Incoronato miglior romanzo dalla classifica di qualità della rivista L’Indiscreto, riferita ai libri usciti tra il 1° ottobre 2020 e il 4 febbraio 2021; sul podio al secondo posto della classifica 2020 de La Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera; probabile vincitore del Premio Strega 2021, se solo Nicola Lagioia non avesse spiazzato tutti con la decisione di non concorrere, La città dei vivi, pubblicato da Einaudi, è un libro diventato già di culto e su cui è già stato scritto tutto ciò che era possibile scrivere.
Allora perché farlo ancora?
Perché a distanza di mesi dalla lettura, questo libro che non è un romanzo e non è nemmeno un reportage – che molti hanno paragonato agli scritti di Emmanuel Carrère, altri ad A sangue freddo di Truman Capote – resta ancora impresso a fuoco nella memoria di chi, attraverso le sue pagine, ha conosciuto i dettagli dell’efferrato omicidio di Luca Varani da parte di Manuel Foffo e Marco Prato.
Ecco perché leggerlo, se ancora non lo avete fatto.
1) Perché l’orrore può nascondersi accanto a noi
La storia che ci racconta Lagioia – con una minuziosa ricostruzione dei fatti accedendo direttamente alle fonti e avvicinando i protagonisti – dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che il male non è mai qualcosa di lontano e indefinito, a carico di mostri sconosciuti.
L’orrore è ovunque, anche in due giovani uomini della media borghesia, con famiglie apparentemente solide alle spalle.
Il seme della violenza riposa silente in molti di noi, pronto a germogliare e crescere rapidamente fino a esplodere in una ramificazione spinosa e contundente.
È ciò che accade a Manuel Foffo e Marco Prato in quella notte tra giovedì 3 e venerdì 4 marzo 2016.
Il primo, figlio di un assicuratore e ristoratore, è un eterno studente, sempre qualche passo indietro rispetto al fratello maggiore, ritenuto più solido e capace.
Il secondo, di ottima famiglia e con un padre manager culturale e talvolta consulente per il Mibac, organizza eventi e feste in discoteca.
In preda alle compulsioni provocate da un eccesso di alcool e droga, i due escono e vanno a caccia di un innocente da torturare e massacrare.
Ed è così che il male s’impossessa delle loro vite, distruggendone altre.
2) Perché potremmo essere quello che viene raccontato di noi
La vittima è Luca Varani, 23enne originario della ex Jugoslavia, adottato da bambino da un’umile e amorevole famiglia di Roma.
Fidanzato da anni con Marta Gaia, che riempie di regali e parole d’amore, Luca fa il meccanico e pare essere benvoluto da tutti.
Qualcosa però s’insinua a sporcare il ricordo della vittima.
Qualcuno dice che facesse marchette per racimolare denaro, che si vendesse agli uomini per arrotondare e potersi permettere qualche vizio.
E immediatamente la vittima, massacrata con più di cento tra martellate e coltellate, non è più così innocente.
Se capitasse a noi, chi resta a compiangerci che ritratto disegnerebbe della nostra vita? Saremmo ricordati puri e ignari del nostro destino o si potrebbe arrivare a pensare che, in fondo, molto in fondo, dovevamo aspettarcelo?
È così che si muore due volte.
È così che diventiamo ciò che viene raccontato di noi.
3) Perché c’è Roma con la sua magnifica decadenza
Roma è protagonista tanto quanto gli assassini, le vittime e tutto il corollario umano che ruota attorno a questo fatto di cronaca nerissima.
Una Roma decadente, con la spazzatura divorata da ratti e gabbiani.
Una Roma fragorosa e caotica, che non sempre riesce a mettere in fila i pezzi di se stessa e allora sbanda, allontanandosi sempre di più dalla magnifica idea romantica che ne hanno i turisti di tutto il mondo.
Una Roma bellissima e struggente, ma così mal governata da diventare trappola per chi ci vive.
Una Roma che quando piove annega e quando c’è il sole brucia.
Città di dannati ma anche e sempre città di chi sa vivere nonostante tutto.
Gli abitanti di Roma la consapevolezza delle cose ultime ce l’hanno nel sangue, ed è talmente assimilata da non generare più nessun ragionamento. Per chi abita qui la fine del mondo c’è già stata, la pioggia ha solo il fastidioso effetto di rovesciare dal bicchiere un vino che in città si beve di continuo.
4) Perché i capolavori sono in via d’estinzione…
… e quando se ne trova uno perfetto e potente come La città dei vivi, non si può lasciarlo sullo scaffale a prendere polvere.
Capita di rado che un libro sappia insinuarsi profondamente nei pensieri dei lettori e delle lettrici, diventando un’ossessione da cui non ci si può staccare fino all’ultima pagina.
Ancor più di rado accade che un libro riesca a restituire una verità già conosciuta, già sezionata da giornali, telegiornali, documentari e trasmissioni televisive, senza mai cadere nella noia o nella banalità.
5) Per scoprire e comprendere la missione dello scrittore
Sì, chi scrive può e forse deve avere una missione.
Nicola Lagioia scava nell’ombra e racconta senza giudicare.
Legge centinaia di documenti, guarda decine di interviste, va in giro per la città a chiedere, a informarsi, a sentire con le proprie orecchie ciò che forse è già stato detto ma che può essere ascoltato ancora una volta.
Ne La città dei vivi lo scrittore insegue la storia, ci s’immerge interamente, drizza le antenne, si mette nei panni altrui, interpreta ogni ruolo e poi… poi ci restituisce su carta tutto ciò che ha disseppellito, con l’avvertenza che il male non può davvero essere raccontato fino in fondo, perché nessuno può veramente mai dire da dove abbia origine, da dove sgorghi, perché non possa placarsi prima che tutto si trasformi in orrore e tragedia.
Nessun essere umano è all’altezza delle tragedie che lo colpiscono. Gli esseri umani sono imprecisi. Le tragedie, pezzi unici e perfetti, sembrano intagliate ogni volta dalle mani di dio. Il sentimento del comico nasce da questa sproporzione.
autore: Nicola Lagioia
titolo: La città dei vivi
editore: Einaudi
pagg. 459
€ 22