Se non sapessimo che Lev Sergeevič Termen è realmente esistito, potremmo pensare che L’eco delle balene – il romanzo di Sean Michaels in libreria per Keller Editore – sia una lunga favola fantastica.
Ma Léon Theremin ha vissuto realmente per quasi tutto il ventesimo secolo, muovendosi tra invenzioni straordinarie, una vita di lustrini e la durezza dei lavori forzati.
L’eco delle balene
Ecco come si suona un theremin:
Lo accendi. Poi aspetti.
Per diverse ragioni: aspetti per dare ai tubi il tempo di scaldarsi, come creature al loro primo respiro. Aspetti per intensificare la suspense del pubblico. E infine, per aumentare le tue aspettative. È eccitazione e terrore allo stesso tempo. Sei lì in piedi accanto a una custodia e due antenne, e di colpo lo spazio stesso viene attivato, la stanza si carica, l’atmosfera prende vita. Quel che era in potenza diventa potente. Ti immagini scintille, braci, minuscole particelle che s’illuminano in equilibrio nel vuoto dell’aria.
Sollevi le mani.
Prima la destra, verso l’antenna dell’intonazione e lo sentirai: ZIIIIOOOoo, un tubare elettrico che si assesta in un lungo inno. Allora sollevi la sinistra, verso l’antenna del volume, per smorzarlo.
Muovi di nuovo le mani e l’apparecchio canterà.
Il giovane Lev Termen, brillante scienziato sovietico, ha un’illuminazione: che suono ha lo spazio di un campo elettromagnetico?
Da questa domanda tanto inaspettata quanto assurda, prende vita il theremin, lo strumento musicale che nel giro di pochi anni lo porta a lasciare la madre patria per il nuovo mondo, benevolmente spinto da compagni bolscevichi interessati a recuperare informazioni sull’America e gli americani.
Ed è così che incontra Pash, uno strano e misterioso omone che di lui sa tutto, che arriva quando meno te lo aspetti e da un momento all’altro si trasforma in un’ombra che può diventare improvvisamente invisibile.
Pash è una spia, come ormai anche Léon, impegnato a diffondere negli Stati Uniti il suo strumento magico e ipnotico, ammaliando non solo le masse ma anche artisti, politici e uomini d’affari, pronti a confidargli quelli che ai sovietici potrebbero sembrare notizie interessanti e degne della missione dello scienziato.
Non so chi insegnò a Pash a suonare il theremin. Suppongo abbia imparato da solo. Il giorno del nostro primo incontro a Berlino sapeva già suonare. Ero giunto nel seminterrato cavernoso della Deutsche Oper, in mezzo a celeste e concertine sotto pesanti teli, e vi avevo trovato un uomo in abito marrone cioccolato chino su uno dei miei strumenti. Il suo sorriso scintillava nelle luci elettriche. L’uomo del consolato non sembrava volerlo toccare. «Chiamami Pash» aveva detto. Mi aveva dato una pacca sulla spalla, aggiungendo: «Siamo due uomini all’inizio delle nostre carriere».
Nella bella vita tra l’alta società newyorkese, tra spumeggianti camei di George Gershwin, Glenn Miller, Martha Graham, Léon perde l’amico e protettore Pash e incontra la violinista Clara Reisenberg, generosa di attenzioni ma non di approvazioni, pervasa dalla spregiudicata energia di una diciottenne.
È un colpo di fulmine devastante, un amore così forte da mantenersi inalterato nel tempo, forse perché mai davvero consumato.
Ma quegli attimi scintillanti sono destinati a terminare.
Richiamato in patria senza troppi complimenti, il prolifico inventore viene accusato di tradimento e confinato nella gelida e pericolosa Kolyma, costretto ai lavori forzati.
È la lotta per la sopravvivenza, tra fame e fatica, a ridimensionare il suo folle e profondo amore per Clara, ormai diventata Mrs. Rockmore e ora nota thereminista, che rivedrà solo molti anni dopo, quando sarà stato liberato dal carcere e riabilitato come scienziato fedele alla madre Russia.
È difficile prevedere che cosa sia il peggio per ciascuno di noi. Il peggio non è sempre lo stesso per tutti. La fame, la sete, la fatica. O la paura. Un tempo pensavo che per me il peggio fossero le pene d’amore. Non è così. In un certo senso, le pene d’amore sono una rassicurazione. Nella fame, nella sete, nella fatica non c’è invece alcuna rassicurazione. O nella paura. Sono cose vuote, sono non-cose. Ho imparato che certe assenze si possono mantenere e nutrire; e altre, come i ricordi perduti, invece no.
L’eco delle balene scorre magnificamente attraverso i ricordi di Léon, che scrive all’amata Clara raccontandole tutto ciò che lei non ha mai nemmeno percepito.
Un diario intimo e passionale, a tratti doloroso e ai limiti del terreno, che ammalia il lettore e lo accompagna alla scoperta di un vero genio del XX secolo, tra biografia e finzione storica.
Lo sguardo di Léon Theremin sul mondo, combattuto tra l’incanto e la disillusione, è ciò che più resta di questo romanzo bello come una fiaba e sorprendente come la vita.
Vista dal cielo, la California mi fece pensare a una cartina vasta e intricata. Una cartina con scala al 70 per cento, e io in cima con in mano un binocolo. Era il mio primo volo, ero terrorizzato ed euforico allo stesso tempo. La ragione dell’euforia era ovvia: otto tonnellate di metallo che si elevano in aria, il terrestre che vola. Mi sono raramente sentito più vivo di quel momento di vertigini in cui le ruote dell’aereo si staccarono dal suolo, come se quell’aggeggio di alluminio fosse stato semplicemente sollevato. Ma ero anche pieno di trepidazione ingegneristica. Era un dispositivo molto complesso, migliaia di viti, e una qualsiasi avrebbe potuto svitarsi. La grande fratellanza degli ingegneri condivide un cruciale segreto infame: sbagliamo. Facciamo pasticci e procediamo a tentoni. Sembrano parole buffe, innocue, ma i nostri fallimenti non sono sempre insignificanti. Commettiamo errori imperdonabili.
Appassionante e imperdibile.
un libro per chi: con la musica sogna
autore: Sean Michaels
titolo: L’eco delle balene
traduzione: Gabriella Tonoli
editore: Keller
pagg. 421
€ 18,50