Spietato, sarcastico, sagace, pedante, fastidioso.
Potrei andare avanti ancora a lungo, elencando tutti gli aggettivi che mi sono venuti in mente leggendo Io odio Internet, il romanzo di Jarett Kobek uscito per Fazi poco più di un mese fa.
Un libro che istintivamente non avrei letto, sbagliando clamorosamente.
Una lettura che sono invece felice di aver fatto e che mi ha fatta annuire con convinzione per tutto il tempo.
Io odio internet
Ciò che Kobek racconta è parte del quotidiano di chiunque frequenti la rete.
Polemiche, aggressioni verbali, giudizi estremi, dibattiti senza fine, spesso violenti e sempre inconcludenti.
Chi di noi non ha assistito almeno una volta a una shit storm?
Adeline è diventata celebre negli Anni 90 disegnando un fumetto con un gatto antropomorfo che lotta contro altri animali antropomorfi.
Quel suo essere quasi famosa l’accompagna ancora, tanto da essere considerata voce autorevole ed essere invitata a tenere una conferenza per gli studenti del California College of the Arts.
Durante la conferenza parla a ruota libera, affrontando diversi argomenti tra cui anche il diritto d’autore e la proprietà intellettuale, la pirateria informatica e pure un paio di pensieri non edificanti su alcune icone pop.
Ed ecco che Adeline commette il peccato che la condannerà sul web: non si accorge che, mentre parla, uno studente la sta riprendendo.
Il filmato, pubblicato su YouTube, diventa la causa immediata della tempesta di critiche che la inonda, lasciandola molto più che perplessa.
Addirittura basita, a dir il vero, perché Adeline è quasi totalmente avulsa dal mondo dei social e quindi poco preparata ad affrontare una crocifissione virtuale di quella portata.
Combattiva e tenace, in alcun modo disposta a lasciarsi sopraffare, la martire Adeline si iscrive a Twitter e inizia la sua battaglia contro gli haters.
E mentre la gente s’indigna e bisticcia sui social, i magnati del web guadagnano miliardi con le pubblicità che piazzano sulle stesse piattaforme.
I video più popolari di YouTube erano: 1) Belle ragazze che davano consigli sul trucco e i capelli. 2) Movimenti rapidi ripresi al rallentatore. 3) Gatti brutti che miagolavano nei bagni. 4) Celebrità intente fare gaffe in pubblico. 5) Ray Jay Williams che si vantava delle dimensioni dei suoi genitali. 6) Un recensore di videogames svedese che si faceva chiamare PewDiePie, che assomigliava come una goccia d’acqua a Božidar Boža di Petnjica, in Montenegro, un tizio che da piccolo si era beccato il calcio di un mulo ed era stato condannato a vivere il resto della sua vita come lo scemo del villaggio.
Adeline era più o meno famosa e aveva compiuto la gaffe pubblica di essere una donna che aveva espresso opinioni impopolari in una società che odiava le donne. Aveva commesso l’unico peccato imperdonabile del ventunesimo secolo.
Perciò Adeline era su YouTube.
Adesso stavo facendo guadagnare soldi a Google.
Con brutale sincerità e con sorprendente autoironia, Jarett Kobek affronta il grande dilemma dei giorni nostri: Internet è di per sé malvagio e dannoso? O sono le persone a renderlo tale?
Gli utenti di Twitter erano furiosi. Adeline non riusciva ad abituarsi a tanta rabbia.
Si indignavano per gli sportivi.
Si indignavano per i politici.
Si indignavano per le ingiustizie.
Si indignavano per eventi che accadevano in paesi distanti migliaia di chilometri con sistemi politici complessi e impenetrabili.
Si indignavano per i fumetti.
Si indignavano per i privilegi altrui.
Si indignavano per i casi criminali.
Si indignavano per i poveri.
Si indignavano per i ricchi.
Si indignavano per la morte della borghesia.
Si indignavano per tutto.
E nessuno la smetteva di twittare di televisione.
Nel geniale fiume di parole che escono dalla penna di Kobek, troviamo ipotesi di complotto (la CIA finanzia davvero la narrativa letteraria?), sessismo (Adeline viene attaccata in quanto donna che esprime opinioni forti?), razzismo (perché non ricoprono ruoli di potere e fanno spesso una brutta fine i personaggi dotati di più eumelanina nello strato basale dell’epidermide?), utilizzo improprio di dati personali (avete presente quelle ridondanti mail che vogliono vendervi sempre qualcosa?).
Sono tante le malefatte raccontate dall’autore, a cui poco importa di mantenere un tono politicamente corretto.
Jack Kirby è il protagonista di questo romanzo anche perché questo non è un bel romanzo. È un libro estremamente confuso con un protagonista che non compare mai. La trama, come la vita, non porta a nulla e tratta di sofferenze emotive che non hanno nessun significato.
L’autore di questo romanzo ha smesso di cercare di scrivere bei romanzi quando ho capito che il bel romanzo, come concetto, era stato inventato dalla Central Intelligence Agency.
Non è uno scherzo. È la pura verità.
Irriverente, dissacrante indomito, Kobek non si ferma nemmeno davanti alle classiche icone americane (Walt Disney, Marvel, il New York Times…), analizzando il loro operato e mettendo sotto i riflettori le ideologie estremiste, i crimini, le ipocrisie, quasi certamente ignorate dalla maggioranza dei fruitori dei loro prodotti.
Tra una Disney fondata da un antisemita e una Marvel manolesta nei confronti di alcune proprietà intellettuali, troviamo anche uno dei maggiori quotidiani statunitensi e il suo diverso modo di trattare i giornalisti rei di servizi mendaci: il nero licenziato, la donna licenziata ma con buona uscita, il bianco al suo posto, senza punizioni.
Nonostante le continue e arzigogolate divagazioni, Kobek riesce a tenerci incollati alle pagine e ben più di una risata scappa di fronte al suo linguaggio affilato, spesso sboccato.
La tragicomica vicenda di Adeline diventerà anche una serie televisiva, interpretata da Chelsea Handler, che ne ha comprato i diritti.
Io odio Internet è un romanzo bizzarro e irresistibile, da leggere e poi da regalare, soprattutto ai fanatici di quel partito che utilizza una piattaforma online come segno di democrazia, esaltati che Kobek definirebbe “dei beoti che stanno facendo guadagnare Google”.
un libro per chi: tutti i giorni pensa “adesso chiudo Facebook!”
autore: Io odio Internet
titolo: Jarett Kobek
traduzione: Enrica Budetta
editore: Fazi
pagg. 330
€ 18