La storia ciclicamente si ripete e l’uomo, che tende a dimenticarla, ha sempre bisogno di un memento a cui tornare.
Ecco cosa è stato per me Il popolo del diluvio, romanzo autobiografico e saggio filosofico di Predrag Finci, pubblicato in Italia da Bottega Errante.
Una lettura dolorosa e scarnificante, profonda e necessaria, per tornare a ricordare un periodo storico recente eppure già lontano.
Il popolo del diluvio
Nel 1992 Finci aveva quarantesei anni ed era professore di filosofia all’Università di Sarajevo, allora ancora città jugoslava.
Costretto come tanti connazionali a fuggire dalla sanguinosa guerra che sta devastando i Balcani, Finci si ritrova profugo in viaggio verso un doloroso esilio, annientato dall’abbandono della terra visceralmente amata.
Lo straziante viaggio verso Londra è il punto di partenza di un racconto complesso e nostalgico, straziante e rassegnato.
Salito in piena notte su una corriera piena di uomini e donne che cercano salvezza, Finci vive il distacco dalla Bosnia come un orribile sogno, uno stato di dormiveglia soffocante che diventa rifugio della memoria.
Il sogno: mi sembra a un tratto che questa guerra spaventosa non possa essere reale, che sia solo un incubo notturno, poiché non riesco a concepire tanta follia, non posso accettare che questo orrore ci sia dovuto succedere, che l’oscurità abbia dovuto ricoprire la terra. Mi sveglierò, penso, e niente di tutto questo ci sarà più…
Il travaglio del profugo diviene quindi un racconto fatto di racconti, un album di istantanee del dolore e del tormento di chi non sa cosa accadrà nella vita che lo attende.
Ho vissuto il frastuono dell’inseguimento e il silenzio della fuga. Nella fuga ho imparato a non voltarmi indietro neppure quando perdo le persone a me più care.
La voce letteraria di Finci si discosta però dallo stereotipo del profugo, spesso considerato vittima passiva di tragici eventi. Qui è attore partecipe, presente, consapevole, lucido. Un testimone concreto di ciò che è stato il viaggio attraverso una nazione devastata dalla guerra e il ritorno – dieci anni dopo – in una terra sulla via della pace ma ormai straniera.
Non mi stupisco neppure quando nella mia città natale mi dicono che sono un ospite. Sull’autobus mi siedo in un posto libero accanto a un’anziana contadina. «Meno male che ti sei seduto lì, così non sono sola». Case vuote crivellate di colpi, con finestre sfondate come nere orbite, recinzioni abbattute, arnie rovesciate, scuole incendiate, magnifiche case nuove, ristoranti rutilanti… In una piccola trattoria ordino da mangiare, «una porzione grande» dico. Il cameriere misura con un’occhiata: «Sarà troppo per te. Sono tornato a casa».
Eppure c’è un sottile filo d’oro che s’intreccia con l’ordito di angoscia e supplizio intessuto dall’autore: è quel sentimento che mai ci abbandona e che risponde al nome di speranza.
Con una prosa ricca, intensa e potente, Predrag Finci dona ai lettori una testimonianza straordinaria, da tenere sempre a portata di mano per essere riletta ogni qualvolta si offuschi in noi il senso profondo dell’esistenza.
un libro per chi: tende a sottovalutare l’importanza delle proprie radici
autore: Predrag Finci
titolo: Il popolo del diluvio
traduzione: Alice Parmeggiani
editore: Bottega Errante
pagg. 153
€ 16