Finalista al prestigioso Premio Goncourt nel 2022, Il passaporto verde è il romanzo d’esordio di Zineb Mekouar, pubblicato in Italia da Editrice Nord.
La storia è quella di un’amicizia al femminile, che nasce e cresce in un paese musulmano, il Marocco, patriarcale, conservatore e ricco di contraddizioni.
Il passaporto verde
Kenza e Fatiha sono amiche fin da bambine, anche se provengono da realtà diverse.
La prima è ricca ed è la nipote di Abbas Chérif Falani, un aristocratico tra i diretti discendenti di Maometto, ex funzionario alla corte reale, mentre Fatiha è la figlia di Milouda, la fedele domestica del patriarca e della dolce e colta moglie Zouhour, detta Mamizou.
Kenza è rimasta orfana quando era molto piccola e da allora vive con i nonni, che non le fanno mancare nulla. Mentre il nostalgico Bassad Abbas vive nel passato, mantenendo una mentalità più ottusa e conservatrice, soprattutto sulla questione femminle, Mamizou ha uno sguardo più aperto e possibilista e non manca mai di incoraggiare la nipote a seguire la propria strada, nei limiti di quella che è la legge marocchina, decisamente non favorevole alle donne.
Fatiha, invece, aiuta la madre nelle faccende ed è considerata tale e quale a una serva, anche se ha una mentre brillante e studia, sognando di diventare una dottoressa in medicina.
Nonostante le origini e i caratteri diversi, le due ragazzine sono molto unite, si sostengono e si compensano nelle proprie differenze, arrivando talvolta allo scontro.
Ma l’affetto prevale e la sorellanza diventa imprescindibile per entrambe.
«Aspetta, aspetta solo un attimo. Di’ un po’, siamo come sorelle, vero?»
«Perché ‘come’? Siamo sorelle.»
Il viso di Fatiha si scurisce, la luce nello sguardo si spegne. «Non proprio. Bè, non nella realtà.»
Kenza si alza e si siede a gambe incrociate, con la schiena dritta e con gli occhi che sprofondano nell’azzurro abbagliante. «Possiamo fare come ci pare, giusto? Quindi, ti scelgo come sorella.»
Fatiha sorride. «Anch’io.»
Non è facile però restare amiche crescendo, quando il mondo è così diverso a seconda della propria classe di provenienza. Va da sé che per Kenza ci siano molte più opportunità di fare una bella vita, di poter diventare quello che vorrebbe essere, o perlomeno questo è che ciò che crede Fatiha, immersa nei suoi problemi di giovane donna povera in una società che dà sempre la colpa alle femmine.
Lo scopre sulla propria pelle quando perde un’amica vittima di uno strupro, ma anche quando viene direttamente giudicata perché indossa un po’ di trucco e non si copre abbastanza.
Mentre Fatiha rimane in Marocco a guardare i suoi sogni svanire, Kenza va a Parigi a studiare, ma nemmeno là, lontano dalle leggi islamiche, sono rose e fiori.
La vita europea per una marocchina musulmana è comunque segnata dalla diffidenza e dal senso di superiorità di chi vive nel pregiudizio, e non è affatto semplice sentirsi veramente accolta e integrata per la ventenne ammessa all’Istituto di Studi Politici.
Quando arriva il 2011, il maledetto passaporto verde, così diverso da quello bordeaux che le darebbe accesso a una vera vita libera, la tiene legata al Marocco, fino a soffocarla.
Volevo rimanere neutrale, nonna. Non dover scegliere da che parte stare. Non dover decidere cosa pensassi del velo, del loro Islam, delle loro banlieu. Solo che non si può sfuggire alla storia. Il mio nome, la mia origine, questo sangue che mi scorre nelle vene. La storia mi porta con sé, mio malgrado. hanno scelto per me: sono una degli altri. Non lo avrei mai creduto.
La storia d’amicizia raccontata da Mekouar è il pretesto per fare luce sulle enormi difficoltà che le donne marocchine devono tutt’oggi affrontare e spesso subire, ma anche sulla lotta di classe tra ricchi – per i quali è più semplice aggirare le leggi, avendo la possibilità di oliare i meccanismi grazie al denaro – e i poveri, che devono preoccuparsi, tra le altre cose, di non finire nei guai perché non avrebbero i mezzi economici per uscirne.
L’autrice sceglie di raccontare le relazioni e il sesso anche con scene che possono urtare certe sensibilità, e lo fa probabilmente per denunciare quanto siano antiquate le leggi che puniscono non solo chi fa l’amore fuori dal matrimonio, ma anche chi si tiene per mano per strada senza essersi unito nella legalità.
Il passaporto verde non denuncia solo l’ipocrisia della società marocchina, che finge di non vedere se si ha la possibilità di nascondere, ma fa luce anche sull’ipocrisia francese, che si finge accogliente verso coloro che provengono dalle proprie ex colonie, per poi respingerli prima di tutto emotivamente, non riconoscendone la Storia e le caratteristiche, e poi fisicamente, con leggi che stringono i cordoni dell’immigrazione.
In metropolitana, nel periodo del Ramadan compaiono manifesti pubblicitari in cui figurano fianco a fianco le bandiere di Marocco, Algeria e Tunisia. Kenza non sa nulla degli altri due Paesi. Non conosce la loro realtà, né le persone, né la loro storia. In Francia, invece, si parla di maghrebini come se l’associazione fosse evidente, come se si trattasse di un insieme omogeneo, assimilabile. Ogni volta fa spallucce, infastidita. Perché non imparano la differenza tra Marocco, Algeria e Tunisia come lei, a casa sua, aveva imparato le diverse regioni francesi?
Nonostante uno stile narrativo asciutto fin quasi all’approssimazione e un finale un po’ troppo telefonato, Il passaporto verde è un romanzo coinvolgente che si finisce in poche ore e che ha il grande pregio di far approcciare alla cultura e alla storia marocchina.
un libro per chi: vuole approfondire la conoscenza della storia del Marocco
autrice: Zineb Mekouar
titolo: Il passaporto verde
traduzione: Giuseppe Maugeri
editore: Editrice Nord
pagg. 276
€ 18