Articolo a cura di Paola Migliorino.
Riuscite a immaginare un hard boiled ambientato, invece che in una violenta metropoli contemporanea, fra i vicoli della Suburra, il mefitico quartiere situato ai piedi dei più nobili colli romani nel 80 a.C.?
Il diritto dei lupi di Stefano De Bellis ed Edgardo Fiorillo, pubblicato da Einaudi, è esattamente questo.
Il diritto dei lupi
673 ab Urbe condita: sono passati quasi sette secoli dalla fondazione della città, e Roma è l’indiscussa capitale del mondo, perlomeno di quello occidentale fino ad allora esplorato.
Le sue strade pullulano di personaggi incredibili, dalle più diverse origini, ma tutti fieramente romani; attraversandola, si passa dalle ville signorili circondate da stupendi giardini ai fatiscenti palazzi dei quartieri poveri, occupati da reietti e disperati, o sede di lupanari e taberne.
In uno di questi postriboli viene commesso un crimine efferato, in cui perdono la vita – per ragioni ignote – alcuni strani personaggi. L’ex centurione Tito viene incaricato dal ricchissimo Crasso di inseguire Mezzo Asse, il tenutario, unico sopravvissuto alla strage.
Ma perché Crasso si interessa alla vicenda? Cosa, anzi, chi si nasconde dietro i fatti accaduti?
Contemporaneamente, in ben altri quartieri dell’Urbe, un giovane Cicerone viene incaricato dalla vestale Cecilia Metella di assumere la difesa dall’accusa di parricidio di un certo Sesto Roscio Amerino, ricco contadino di umili origini, da sempre amico della famiglia dei Metelli.
Cicerone si ritrova così ad affrontare una delle più importanti cause della sua carriera, quella che imprime una svolta decisiva alla sua attività e che a noi contemporanei giungerà sotto forma di orazione con il nome di Pro Roscio Amerino.
Conosciamo così un Cicerone diverso dall’abilissimo e scaltro oratore studiato e spesso odiato sui banchi di scuola, colto ma insicuro provinciale, afflitto da un’ulcera probabilmente dovuta all’ansia, homo novus in soggezione dinnanzi ai potenti dell’Urbe, ma sempre rispettoso del Mos Maiorum, il codice degli insegnamenti etici dei padri, e amante della veritas sopra ogni cosa.
La misura del valore di un uomo risiedeva nell’estensione dei suoi poderi. Il commercio era per chi non poteva vantare un lignaggio fortunato: una cosa bassa, quasi indegna di un patrizio. I tempi però stavano cambiando in fretta, e molti uomini nuovi, senza passato ma con un ricco presente e un futuro pieno di promesse, erano già riusciti a farsi strada fino in senato.
Nel frattempo sullo sfondo si muovono i grandi della Storia, primo fra tutti Silla il fortunato, il Dictator giunto all’apice della sua parabola, e ormai pronto a lasciare il campo.
Il Dictator strappo un pezzo di pane con il quale ripulì con cura la ciotola. Un gesto rozzo, che rivelava il soldato che ancora esisteva sotto le spoglie del raffinato patrizio.
Presente lungo tutto il romanzo come l’artefice del destino di molti, Silla fa la sua maestosa comparsa in scena solo nel finale.
Io sono arrivato al punto di avere solo Roma sopra di me, appoggiata sulle spalle… ma Roma non si deve ingannare. Loro credono di avermi ferito a morte, credono che, avendo avuto l’ardire di attaccare Crisogono, io mi rannicchi in un angolo, tremebondo. Non sanno però che io sono ancora padrone della mia vita. È dall’epoca di Tarquinio il Superbo che a Roma non si vedeva un uomo tanto potente quanto me, e adesso pensano di potermi cacciare come è stato cacciato lui. Ma sono io a congedarmi… Anche se il mio volere è stato legge, alla fine non ho fatto altro che servire Roma, perché Roma mi voleva, mi seduceva, mi trascinava legato al filo della mia ambizione. Oggi mi respinge, come un’amante annoiata. Questa belva inquieta, alle cui mammelle siamo tutti attaccati, mi respinge, e io non mi oppongo al suo volere. Nessun dio ti protegge da Roma. Piegò il capo, come un fiore che appassisce.
La storia prosegue così in un intreccio avvincente, in cui i fatti storici sono inframezzati da piccoli dettagli di vita quotidiana, ricostruiti o immaginati grazie a una profonda conoscenza dell’Urbe.
Le oltre settecento pagine volano in un battibaleno, senza riuscire a distinguere le parti scritte dall’uno o dall’altro autore, perfettamente integrati come un solo uomo, sia nei capitoli dedicati alle vicende del processo, sia in quelli – carichi di azione e talvolta di comicità – in cui le indagini del centurione Tito, accompagnato dal commilitone Astragalo e da Gabello, colosso gallo/romano, proseguono fra colpi di scena e inseguimenti lungo i vicoli della città o le strade consolari.
Alla fine, le due vicende troveranno naturalmente un loro nesso e il giallo giungerà a soluzione.
A noi non resterà che aspettare il seguito, a cui già stanno lavorando gli autori.
un libro per chi: ama la grande Storia, ma anche le vicende degli umili
autori: Stefano De Bellis ed Edgardo Fiorillo
titolo: Il diritto dei lupi
editore: Einaudi
pagg. 724
€ 22