Dopo aver letto I miei stupidi intenti, pubblicato da Sellerio, è davvero difficile credere che Bernardo Zannoni sia al suo primo romanzo.
Una storia potente e universale – quella degli esseri viventi che s’interrogano sui grandi temi come la morte, Dio, l’amore – che qui viene raccontata con grande originalità e con una scrittura matura e piena, capace di evocare sapientemente lo scorrere delle stagioni e l’evolversi della vita.
Ne parleremo il 15 dicembre all’incontro del gruppo di lettura Absolute Beginners.
I miei stupidi intenti
Archy è una piccola faina appena nata ed è anche la voce narrante di questo romanzo sorprendente, metafora della vita umana.
La piccola bestia è già orfana di padre, rimasto ucciso mentre cacciava, e la vita le appare subito come una lotta crudele in cui solo i forti possono sopravvivere.
La stessa madre della cucciolata è durissima, spinta dal proprio istinto a nutrire i figli più coriacei, lasciando che i deboli facciano la propria miserabile fine.
Per Archy è subito chiaro che nulla sarà mai facile: diventata inutile per la madre, a causa di una fatale sbadatezza, la giovane faina viene ceduta, senza troppi convenevoli, alla volpe usuraia Solomon in cambio di due polli.
Non era facile vivere nei ricordi. Non se stavi già vivendo qualcosa, come nella mia situazione. L’unico vantaggio di tormentarsi a quel modo fu quello di capire più a fondo i miei sentimenti.
Sulla collina che appartiene all’usuraio, il duro lavoro è all’ordine del giorno, così come le offese di Solomon e le minacce fisiche di Giona, il grande cane nero al servizio della volpe. Archy, che prima dell’abbandono aveva assaggiato l’ebbrezza della passione, della vita ora conosce solo il lato oscuro.
Eppure ha da mangiare e ha un posto caldo dove dormire, quanto basta a un animale come lui per affrontare ogni giorno.
Ma Archy ha un’anima, ha delle domande, dei dubbi, che divengono ancora più incalzanti quando la morte, che l’aveva già sfiorato, diventa qualcosa di reale e vicina.
In fondo a un dirupo, nel pieno del bosco, spuntava il ceppo di un gigantesco albero caduto, dalle radici sporgenti. Sotto di esso si apriva una rientranza, in fondo alla quale si intravvedeva una piccola luce. Esitai un istante prima di entrare, faceva paura. Era un posto che parlava direttamente con il mio istinto, comandava prudenza.
Questo suo dolore coincide con l’attimo in cui raggiunge la maturità, forse perché finché speriamo possiamo considerarci ancora piccoli, con un futuro da scrivere, forse perché è il male a farci invecchiare, a costringerci a crescere.
È in quel momento che Solomon decide di raccontare ad Archy di Dio, di metterlo di fronte alla notizia che non siamo soli e che qualcuno di immenso sta sopra di noi, a decidere delle sorti del mondo.
La vecchia volpe mi dettava con gli occhi rivolti verso l’alto, inquinando le sue memorie con devote morali, grugnendo soddisfatto ad ogni bugia, come fosse la realtà dei fatti. A quel punto pensai fosse impazzito, ma ora posso dire con certezza che stava cercando di salvarsi, voleva il Paradiso.
È quindi la parola di Dio a tracciare la via, ma sono anche le parole che Solomon insegna ad Archy a dargli il potere di crescere e avere l’illusione di scrivere la propria strada, il proprio destino.
Ma di illusione sempre si tratta perché la Natura, vera e inesorabile divinità in terra, ha in serbo per la faina e per tutti gli altri personaggi di questa magnifica fiaba esattamente quello che da sempre può dare loro: il cerchio della vita, da quando si nasce a quando si muore, passando dall’amore al dolore, senza inutili orpelli a edulcorare il tutto.
Imparai ad apprezzare la solitudine e trovare la pace con Dio. Mi fu chiaro che il mondo non odia nessuno, e se è crudele, è perché noi siamo crudeli.
La metafora che Zannoni scrive con grande maestria racconta la vita degli uomini, con le grettezze quotidiane che mortificano e quei pochi attimi di splendore che la rendono affrontabile, talvolta esaltante.
È la dura legge della sopravvivenza a essere protagonista al fianco di Archy e delle sue vicende, perché tra gli animali, come tra gli uomini, sono i più forti e i più furbi a farsi largo, lasciando indietro i fragili e puri, i meno avvezzi a scontrarsi ogni giorno con la durezza del mondo.
Eppure Archy, come gli uomini e le donne di spessore, scopre il perdono, il sacrificio, il grande potere della verità che rende liberi, l’importanza della cura degli altri ma anche la forza che serve per essere soli, rivelandoci ancora una volta che vivere equivale a soffrire ma anche a gioire, muovendoci tra il buio di una tana o su un campo illuminato dal sole.
I miei stupidi intenti è un romanzo sconcertante proprio perché vero e schietto come raramente accade, capace di stupire lettori e lettrici con una serie di riflessioni filosofiche di eccezionale profondità.
Da leggere.
un libro per chi: dice spesso che gli animali sono migliori degli uomini
autore: Bernardo Zannoni
titolo: I miei stupidi intenti
editore: Sellerio
pagg. 243
€ 16