Kristine Bilkau ha preso buona parte dei miei timori, delle mie ansie e delle mie fragilità e li ha messi nero su bianco.
Leggendo I felici, recente pubblicazione dell’amata casa editrice Keller, è stata tale l’empatia verso i protagonisti da aver sentito sulla mia stessa pelle tutte le loro incertezze, che sono le stesse di una generazione che ogni giorno fa i conti – e non solo in maniera figurata – con la vita.
I felici
Isabell e Georg si amano e da poco hanno avuto un bambino, il piccolo Matti.
Lei è una violoncellista che durante la gravidanza e nei primi mesi della maternità ha messo in stand by la carriera, lui è un giornalista che si dedica più ai redazionali che ai grandi reportarge.
Prima dell’arrivo di Matti tutto scorreva veloce e leggero mentre ora, come accade a molti, la responsabilità genitoriale pesa sulle loro spalle, facendo emergere le asperità della coppia.
Isabell al mattino controlla sull’app del telefono il meteo di diverse città: quella dove vive la madre, l’altra dove sta il padre, quelle lontane scelte da amici musicisti e altre ancora sparse un po’ ovunque. Un modo, forse, per sentire vivi certi legami ma soprattutto una via per immaginare altre vite, altre possibilità.
Un’innocua via di fuga, che seda l’ansia crescente di una donna che stenta a riconoscersi e di una musicista che non regge più l’ansia del palcoscenico.
Non resta che rifugiarsi nel ruolo di madre apprensiva e fin troppo presente.
Gli passa lentamente l’indice della fronte alla tempia, alla guancia, al mento, al dorso del naso e poi indietro sulla fronte, e di continuo, sempre circolarmente. Sa che non può resistere, queste carezze sono meglio di qualsiasi ninnananna, ancora una volta e una volta ancora e gli occhi gli si chiudono. Un altro minuto e la lingua emette un leggero risucchio, è ancora sveglio, ma il biberon è già fra i suoi sogni. Con cautela avvicina il volto al suo finché con il naso non gli sfiora la pelle del labbro superiore e può sentire un respiro fatto di latte e di denti puliti. Dopo poco chiude anche lei gli occhi, si raggomitola così che Matti possa adattarsi al suo corpo concavo. È di nuovo uno di quei momenti in cui si prova qualcosa di dolorosamente bello e tutto si fonde in un’unità. Lei, il bambino, il calore, la pace, in frangenti simili può sentire un leggero ticchettio; questo momento non resterà, lo perderà, forse lo dimenticherà, lei e il suo bambino, è ora, solo ora che deve trattenere l’attimo.
Se nella prima parte è Isabell a essere in crisi, nella seconda è Georg a essere sul punto di perdere il lavoro e a desiderare di fuggire dal tran tran di una vita insoddisfacente.
Attratto dall’idea di mollare tutto e trasferirsi in un luogo isolato per vivere dei prodotti della terra da lui stesso coltivati, viene preso dall’ossessione per il denaro e per il risparmio, fino a diventare il severo guardiano dei vezzi di Isabell.
«In quale misura ci saranno licenziamenti?» urla qualcuno di lato.
«Ci arriviamo subito».
Non vuole sentirlo, ha voglia di tapparsi le orecchie come un giovane ostinato. Senza far rumore mette la bottiglia vuota sotto la sedia. Invidia tutti quelli che fra poco avranno la carriera alle spalle. Carriera, una corsa sulla pista stabilita per lui, uno sprint, no, una gara di fondo che già ora gli toglie il respiro. La sua vita è scandita da tappe in cui arriva sempre troppo tardi. Essere nato troppo tardi, per poter vivere i mutamenti dovuti al digitale e i fragili mercati finanziari come universi esotici, da qualche parte, molto lontano, senza dover rapportare tutto alla sua vita privata, alla sua esistenza personale fra le quattro pareti domestiche. Troppo tardi per poter credere alla sua professione, senza la paura delle cifre e delle riorganizzazioni. Come se la sono passata bene i vecchi colleghi! Sprigionavano la sicurezza di avere scelto il lavoro giusto. […] Ogni giorno che passa si sente un po’ più piccolo. Troppo tardi per essere un padre di famiglia che costruisce qualcosa di durevole. Acquistare beni immobili. Abitare, prendere in affitto, comprare, tutte cose che fanno di lui un perdente. I tempi dei prezzi ragionevoli sono finiti e non ritorneranno. È diventato padre troppo tardi, già fra vent’anni sarà un vecchio patetico che vive fra pareti di libri, CD e dischi, una stanza, il cucinotto e il bagnodoccia.
Le distanze tra i due diventano oceani burrascosi e innavigabili, pieni di vortici che risucchiano e affondano anche ciò che di bello c’è stato nella loro storia.
Ma che cos’è l’amore vero, se non il collante che sa tenere unite le persone anche di fronte alle difficoltà più grandi?
Kristine Bilaku ci racconta una storia così umana e reale da essere l’innegabile ritratto di un’intera generazione, e lo fa con uno stile netto e ficcante – che non risparmia nulla al lettore – e al tempo stesso tenero e delicato, senza mai giudicare i suoi protagonisti.
I felici è un romanzo potente, che lascia il segno e sa coinvolgere ed emozionare anche chi le inquietudini di Georg e Isabell non le ha vissute mai.
un libro per chi: ha bisogno di sapere di non essere solo di fronte ai conti da far quadrare per arrivare a fine mese
autore: Kristine Bilkau
titolo: I felici
traduzione: Fabrizio Campi
editore: Keller
pagg. 284
€ 17