Carrie Frances Fisher è mancata lo scorso anno, durante le festività natalizie.
Se penso al momento in cui ho letto della sua morte, ho ancora il magone.
A Carrie Fisher volevo bene davvero, come a un’amica con cui hai condiviso confidenze e risate, come a un’eroina a cui ti sei ispirata fin dall’infanzia.
Come a una donna vera e non un personaggio su uno schermo.
Nata nel 1956 e figlia della fidanzatina d’America Debbie Reynolds, l’indimenticabile Kathy di Cantando sotto la pioggia e del crooner Eddie Fisher, fin da bambina Carrie si trovò a combattere con le difficoltà della vita, quando il padre lasciò la madre per mettersi con la sua migliore amica, Elizabeth Taylor.
Aveva due anni e da quel momento il rapporto con la madre divenne così profondo da risultare quasi morboso, mentre la figura paterna venne del tutto a mancare, lasciandole non poche ferite interiori.
La carriera, la droga, il bipolarismo
Seguendo le orme della madre, Carrie Fisher decise fin da adolescente di diventare attrice e a soli 20 anni, dopo una piccola particina in Shampoo con Warren Beatty, fu scelta da George Lucas per interpretare la parte di una principessa in una saga fantascientifica. Stava per diventare un’icona universale, quella Principessa Leia Organa, combattente determinata e femminista, che non avremmo mai dimenticato.
Con il successo interplanetario arrivarono anche i primi problemi con alcool e droghe.
Fu davvero difficile per Carrie relazionarsi con lo star system e quel mondo effimero e superficiale fatto di party ed eccessi. Aveva poco più di vent’anni e c’è da dire che fino ad allora era stata una ragazzina abbastanza ingenua e imbranata.
Si ritrovò catapultata in qualcosa di molto più grande di lei, che la sopraffò a tal punto da renderla una tossicodipendente con grandi difficoltà nel mantenere gli impegni di attrice.
Si dice, infatti, che già sul set del mitico The Blues Brothers Carrie fosse talmente fatta da non riuscire a recitare un’intera scena.
Eppure il suo personaggio, quello della fidanzata abbandonata e incazzata nera, è un vero e proprio cult.
A 24 anni le fu ufficialmente diagnosticato un disturbo bipolare. Non fu facile per Carrie Fisher, famosa per essere l’indomabile e determinata Principessa Leia, accettare questa sentenza, infatti continuò a vivere nel solo modo che conosceva, attraverso l’abuso di droga. Un’overdose nel 1982 la costrinse a prendere atto che qualcosa in lei era interrotto, ma fu solo nel 1987 che arrivò all’accettazione della malattia, iniziando a combatterla.
Nello stesso anno pubblicò un libro che ho molto amato e che è poi divenuto un film con una strepitosa Meryl Streep: Cartoline dall’inferno è un romanzo autobiografico, in cui la protagonista, la tossicodipendente Susanne, racconta il turbolento rapporto con la madre alcolizzata, la vecchia attrice Doris.
Vi ricorda qualcosa?
La sua carriera di scrittrice e sceneggiatrice le diede parecchie soddisfazioni, anche perchè mettere nero su bianco i suoi pensieri, con tagliente ironia e sagace umorismo, fu parte del lungo e complesso processo di accettazione della malattia mentale.
Carrie Fisher non si vergognò più di dire al mondo “ehi, sono bipolare e sono tossica, ogni giorno combatto per vivere!” e questa battaglia fu fatta anche in nome dei più deboli, di coloro che ancora provavano vergogna per la propria condizione.
Il ritorno della Principessa
Carrie Fisher tornò prepotentemente alla ribalta quando fu annunciato il sequel di Guerre stellari, che sarebbe poi uscito a fine 2015.
Alcuni (parecchi) rimasero perplessi di fronte alla Principessa Leia, invecchiata e appensantita; come di certo sapete, il mondo dei social non perdona, infierendo pesantemente contro l’aspetto fisico di Carrie, che a 59 anni ne dimostrava (forse) qualcuno in più.
Le polemiche la aggredirono e ferirono pesantemente, tanto che, esasperata, arrivò a scrivere un tweet di una tenerezza disarmante.
Per favore smettetela di discutere se sia invecchiata bene oppure no. Sfortunatamente è una cosa che mi ferisce. Il mio corpo non è invecchiato tanto bene quanto me. Lasciate perdere.
In quel momento, se possibile, sono riuscita ad amarla ancor più di quanto immaginavo possibile.
Con la sua disarmante fragilità, ammessa senza remore, Carrie Fisher ha dato voce alle donne che devono essere per forza giovani e belle per sempre.
Chapeau, amica mia, chapeau.
La sera del 27 dicembre ero a tavola con la mia famiglia. Si rideva, davanti a un piatto di tortellini in brodo, fumanti e squisiti.
Poi, improvvisamente, la notizia della morte di quella che avevo sempre considerato una donna speciale e straordinaria, ha reso cupo quel che restava del Natale appena trascorso.
Ne ho fatta una piccola tragedia personale, come milioni di fan in tutto il mondo.
Il giorno dopo, Debbie Reybolds, la madre tanto amata quanto mal sopportata, è morta tra le braccia del figlio Todd. Il suo cuore non ha retto di fronte alla perdita dell’adorata Carrie.
Pare che le sue ultime parole siano state “Voglio solo stare con Carrie”.
I diari della Principessa
Iniziai le riprese di Guerre stellari sperando di avere un’avventura. Sperando di impressionare la gente come una persona a metà tra il sofisticato e l’equivoco, qualcuno con l’aria di aver frequentato un collegio svizzero con Anjelica Houston e aver imparato a parlare quattro lingue, portoghese incluso. Un’avventura, per una persona così, sarebbe un’esperienza assolutamente scontata e totalmente da adulti.
Poco prima di morire, Carrie Fisher ha dato alle stampe The Princess Diarist, una raccolta di scritti tratti dai suoi diari di ragazza, tenuti ai tempi delle riprese di Star Wars.
Nel libro, una breve autobiografia della ragazza che era ai tempi della sua interpretazione della Principessa Leia, Carrie racconta con ridanciana ironia il suo approccio con la recitazione e il set, ma anche i timori di una diciannovenne alla sua seconda esperienza, preoccupatissima per non essere riuscita a smaltire quei pochi kili che avrebbero dovuto asciugarle le guanciotte paffute.
Ma la parte più clamorosa del libro è quella che conferma il sospetto che tutti abbiamo sempre avuto: Han Solo e Leia Organa non si amarono solo sul grande schermo.
Carrie aveva 19 anni, Harrison ne aveva 34 ed era sposato. La loro relazione andò avanti per tre mesi e fu davvero bizzarra.
Lei sognava addirittura che lui le donasse un anello di fidanzamento, con l’incisione Carrison (la crasi dei loro nomi, apoteosi del romanticismo più adolescienziale!).
Lui, in realtà, si stava probabilmente solo distraendo, lontano migliaia di kilometri da casa e immerso nel mondo della saga.
Comunque siano andate le cose tra loro, I diari della Principessa, pubblicati ora in Italia da Fabbri Editore, sono il racconto divertente, scanzonato, nevrotico e molto toccante di quel periodo della vita di Carrie Fisher.
Leggendoli mi sono sentita come se io e Carrie fossimo migliori amiche, sedute sul lettone a raccontarci i nostri amori e batticuori.
Una sensazione di familiarità e confidenza, che si aggiunge all’affetto infinito che già sentivo per la Principessa Carrie.
Mi mancherà.
Ci mancherà.
un libro per chi: crede nella forza
autore: Carrie Fisher
titolo: I diari della Principessa
traduzione: Sara Benatti
editore: Fabbri
pagg. 254
€ 18
articolo originariamente pubblicato su www.imnotagroupie.net