Può un memoir in cui si racconta un attentato alla propria vita risultare a tratti anche spiritoso?
Sì, se l’autore è Salman Rushdie, che in Coltello, pubblicato in Italia da Mondadori, ripercorre i tragici avvenimenti del 12 agosto 2022 e racconta la successiva convalescenza, riflettendo, ancora una volta, sulla libertà e sul diritto di fare satira, senza mai dimenticare quanto possa essere determinante l’uso della parola e della scrittura.
Coltello
… il mio primo pensiero è stato: “Sei tu, dunque. Eccoti qui”
Se lo aspettava Rushdie di essere, prima o poi, vittima di una violenta aggressione.
Fin dal 1989, anno in cui l’ayatollah Khomeynī lanciò una fatwā che ne decretò la condanna a morte per blasfemia a causa dei contenuti de I versi satanici, lo scrittore di origine indiana naturalizzato britannico ha vissuto sapendo di avere una spada di Damocle sulla testa e immaginando il momento in cui sarebbe accaduto il peggio.
Nonostante questo, o forse proprio per questo, l’autore del capolavoro I figli della mezzanotte non ha mai smesso di vivere, tentando di farlo al meglio delle proprie possibilità, senza privarsi dell’amore di una famiglia – decisamente allargata, visti i ben cinque matrimoni – dell’amicizia profonda con personaggi del mondo intellettuale e di una quotidianità quasi “normale”.
Come spesso accade, la scrittura sa trasformarsi in una potente terapia, e se Rushdie – ancora allettato e dolorante, durante una lunga e difficile convalescenza – si dimostra scettico quando il suo agente gli dice che avrebbe prima o poi raccontato in un libro questa tragica vicenda, non si tira indietro quando lentamente emerge il desiderio, la necessità, di narrare con affilata precisione tutto ciò che è avvenuto durante e dopo l’aggressione.
Troviamo quindi numerosi riferimenti ai giorni del ricovero in ospedale, dettagli che raccontati tra amici restano solo sfoghi a caccia di compassione, ma che nelle parole di Rushdie si fanno letteratura e non risultano mai noiosi o ingombranti, nemmeno quando si tratta di raccontare la difficoltà di scendere dal letto e, addirittura, di urinare.
L’autore racconta senza pudore la paura, sua e dei suoi cari, lo straziante dolore fisico, l’adattamento a una nuova esistenza senza un occhio e con l’uso limitato della mano sinistra, e riesce a essere persino spiritoso in alcuni veloci aneddoti che spiccano in questa analisi, tanto lucida quanto intima e coinvolgente, di un trauma così spaventoso.
Questo libro rappresenta la mia resa dei conti. Vi dico che è il mio modo di farmi carico di quel che è accaduto, di appropriarmene, di trasformarlo in lavoro, l’unica cosa che sono in grado di fare.
Salman Rushdie oggi è un sopravvissuto che invece che lasciarsi andare a una scoraggiata agonia si fa paladino di una strabordante voglia di vivere, e lo fa con le consuete ironia e sagacia che hanno sempre contraddistinto il suo stare nel mondo e la sua scrittura.
Non mancano, e forse sono i momenti più belli e coinvolgenti, teneri riferimenti ad amici e colleghi importanti, Martin Amis e Paul Auster, e alla malattia che talvolta rende davvero difficile morire in pace.
Coltello è un memoir pop, perfetto per chi ama il genere, e se forse, al confronto con altri testi più potenti, risulta un poco banale, riesce comunque a restare impresso nella memoria di chi lo legge, facendo quindi ciò che dovrebbe fare la letteratura: lasciare il segno.
un libro per chi: ha sofferto molto quando ha saputo dell’accoltellamento di Salman Rushdie
autore: Salman Rushdie
titolo: Coltello
traduzione: Gianni Pannofino
editore: Ponte alle Grazie
pagg. 240
€ 21