L’abbiamo pensato tutti, almeno una volta nella vita, osservando i gesti inconsulti del matto del paese o ascoltando le chiacchiere senza senso di quelle persone strane che camminano senza tregua per le vie delle città.
L’abbiamo pensato tutti che quelle persone, i folli, nascondano dentro di sé interi e affascinanti mondi di cui nessuno riesce a vedere le infinte sfumature, le probabili potenzialità, i pericolosi burroni.
Lo pensa sicuramente Stefano Radaelli che in Beati gli inquieti, appena uscito per Neo Edizioni, dà voce a un alter ego estremizzato, indagatore, irresistibilmente attratto da quei mondi invisibili.
Beati gli inquieti
Gesù, mosso dallo Spirito, si reca nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti. Deve fare tre cose:
1) pregare
2) digiunare
3) essere tentato tre volte.
“Stava tra le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”.
I folli parlano con Dio, con gli animali, con gli angeli. Sono provati, ricevono continui imperativi, leggi da rispettare.
Antonio è un ricercatore universitario che indaga sul sottile legame tra follia e spiritualità.
Ha studiato le religioni e le preghiere, ha partecipato a un pellegrinaggio e ora, per avvicinarsi il più possibile al senso profondo della follia, ha chiesto e ottenuto di fingersi un paziente e poter soggiornare per una settimana alla Casa delle Farfalle, una struttura psichiatrica, così da poter prendere nota e raccontare la vera vita dei matti.
Le giornate passano così. E io non so che scrivere.
Dovrei descrivere la noia, la nevrosi del vuoto scandito dal fumo, dalle medicine, dal cibo. Invece voglio cercare quello che c’è dentro, oltre questo spazio in cui la follia è incubata.
“Incubare” ha la stessa radice di “incubo”, che oggi vuol dire sogno morboso. Il significato originario era un altro. Nelle culture antiche, “incubazione” voleva dire “dormire in un tempio per avere i responsi di dio”. Gli “incubi” erano geni, custodi di tesori nascosti nelle viscere della terra. Portavano un piccolo cappello, se riuscivi a rubarglielo, dovevano svelarti il luogo dove il tesoro era nascosto. Glielo ruberò.
Alla Casa delle Farfalle le giornate prevedono quasi sempre gli stessi impegni, eppure nessuna è uguale alle altre.
Antonio conosce i suoi ospiti e con ognuno di essi cerca un contatto profondo.
Divide la stanza con Carlo e Simone; il primo è abituato a lavorare la terra, ad avere i calli sulle mani, a far nascere qualcosa di fisico dal proprio mestiere; il secondo affoga i pensieri nei libri, facendoli riemergere arricchiti, a volte stravolti.
C’è poi Angelo, l’artista ossessionato dai complotti, un’intelligenza incompresa che ha inventato milioni di cure per altrettante malattie, che è sempre in contatto con l’FBI e con i potenti, che è stato rinchiuso lì perché il mondo non sa essere riconoscente con i geni.
Infine, ci sono Cecilia la poetessa – che muta ogni volta truccandosi il volto e acconciandosi diversamente, e che ogni tanto si trasforma in Tom, rinunciando alla poesia e preferendo l’ossessione, le grida e il sospetto – e poi Marta, bellissima e profumata di fiori, eterea e seducente come una dea-bambina.
Mi sono chiesto perché nessuno frequenti i matti.
Ho trovato tre ragioni:
1) i matti non mentono.
2) i matti ci vedono.
3) i matti sono nudi.
I matti dicono sempre la verità.
Antonio parla con tutti, prende appunti, annota piccoli particolari, si scontra con la direttrice della clinica e inizia ad accorgersi che qualcosa lentamente in sé muta, si corrode.
Può essere infettiva la follia?
Beati gli inquieti è un romanzo circolare che nella prima parte si muove in punta di piedi, costellato di immagini e scene molto potenti, come la messa che Don Marco celebra di fronte ai pazienti o come il gioco dei triangoli tra Marta e Angelo.
Piano piano, però, le parole si fanno labirinti, elucubrazioni filosofiche infinite che ben rappresentano l’oppressione di una mente in gabbia, vittima di se stessa.
Poi, il colpo di scena, l’asprezza di una finzione così vivida da diventare realtà. Una realtà così assurda da poter essere finzione. E noi lettori, travolti dai dubbi, dal timore di diventare matti come i personaggi di questa storia, andiamo in debito d’ossigeno, soffochiamo, ci troviamo a fare qualche passo indietro prima che sia troppo tardi e che la follia s’impossessi anche dei nostri pensieri.
«… Sto facendo la carriera della follia».
Radaelli, con una scrittura schietta ma non priva di suggestivi voli pindarici, ci consegna una, cento, mille verità sulla follia e su chi ne abita gli spazi, rammentandoci che i folli sono mondi fatti di oceani, valli, montagne e città brulicanti di strade sovrapposte, a volte senza uscita.
Sta a noi persone considerate normali decidere se smettere di avere paura e addentrarci per esplorare questi mondi, ammettendo che qualcosa di essi ci appartenga.
Leggere Beati gli inquieti è certamente un buon punto di partenza per guardarsi allo specchio e ammettere questa verità.
un libro per chi: riconosce che misticismo e follia poggiano sulle stesse basi dell’illogicità
autore: Stefano Redaelli
titolo: Beati gli inquieti
editore: Neo Edizioni
pagg. 208
€ 15
Appena scoperto questo blog e già mi trovo ad annotare ghiottonerie letterarie! Questo titolo mi incuriosisce molto. Grazie mille!
Grazie Maria Vania!
Da inquieto e spesso incompreso questo libro mi fa quasi paura: se non sufficientemente dotati della necessaria leggerezza temo possa alimentare ulteriori inquietudini. (da chi vi è dentro con consapevolezza un contro elogio della beatitudine dell’inquietudine).
Questo libro m’è parso tante cose ma di certo non un elogio o uno sprone all’inquietudine della malattia mentale, fine a se stesso.
Piuttosto un’analisi dell’inquietudine e del disagio psichico, senza retorica e senza giudizi estremi.