Chi ha già letto i precedenti romanzi di Alina Bronsky, sempre pubblicati da Keller, conosce già lo stile dell’autrice, che con sagace ironia racconta sempre storie che riescono a toccare certe corde nel profondo di lettrici e lettori.
Non fa eccezione Barbara non sta morendo, forse il suo romanzo più sentimentale, nel modo in cui può esserlo chi sa usare con grande acutezza la causticità di chi vede la vita e gli esseri umani esattamente per ciò che sono: imperfetti.
Barbara non sta morendo
Walter è il classico uomo ormai anziano che ha costruito tutta la sua vita sulle regole stabilite dal patriarcato: la moglie sta a casa cucina, bada ai figli e il marito esce, lavora, guadagna, porta a casa la pagnotta, esce ancora a divertirsi con gli amici e che non parla di sentimenti, sostituiti da silenzi inespugnabili come fortezze e gomitate cameratesche.
Per questo, quando Barbara inizia a stare male, Walter non sa come comportarsi.
In primis, quello della donna gli pare un capriccio, perché non si alza, non mangia, non si prende cura della casa e, soprattutto, perché adesso tocca a lui cucinare, fare la lavatrice, pulire la cucina, curare i fiori e l’orto, mandare avanti davvero la baracca.
Non lo comprende, non lo vuole comprendere; è certo che Barbara non abbia nulla di grave e che questo suo comportamento sia una sottile vendetta per tutti gli anni in cui l’ha costretta a essere una semplice moglie e madre, dileggiandola per i suoi interessi, sgridandola per il suo accento difettoso, guardandola senza veramente vederla.
Qualcosa di lento e pesante si trascinava sulle piastrelle, dal bagno alla camera. Nel riquadro della porta apparve un’ombra gobba, che proseguì il proprio cammino verso il letto. Una vecchia come le streghe dei libri per bambini, la camicia da notte risplendeva alla luce della luna.
«Barbara?»
E chi, se no?»
Non fa apposta Walter, davvero proprio non ci arriva, eppure qualcosa in lui s’incrina piano piano.
Grazie anche alla trasmissione dello chef televisivo Medinski, con le sue ricette spiegate fino a un certo punto, e ai semplici consigli di Luna, la commessa della panetteria in cui va a prendere il caffè che non è capace di fare, e di Lydia, vedova piaciona e gentile, cucinare non è più qualcosa di ostico, d’inarrivabile anche per un uomo vero.
La prova del fuoco, da cuoco e da marito, è quel boršč dalla ricetta complessa, comfort food di Barbara in cui Walter si cimenta imbrattando mobili, elettrodomestici, pareti e pavimenti.
Non si era mai accorto che Barbara fosse così imprecisa nel formulare le frasi. Se fosse stata in forma come al solito, si sarebbe arrabbiato. Ma l’accenno di panico che lo aveva colto nel vederla stesa in bagno aveva lasciato delle tracce, come un’onda che lo avesse travolto per poi ritirarsi: nel suo intimo era ancora bagnato e infreddolito
«Vado a prepararti questa cavolo di patata».
Cucinare e nutrire sono azioni che danno forma a un affetto profondo, gesti che spesso vengono usati da chi non è in grado di dire “ti voglio bene”, e così Walter, piano piano, inizia a prendersi cura di Barbara, pur continuando a negare il suo stato.
Uno stato che l’uomo seppellisce sotto quintali di torte squisite, nonostante le parole e le azioni dei figli adulti Karin e Sebastian, che ripiombano nella loro casa d’infanzia sempre più spesso, attratti non solo dal desiderio di stare accanto alla madre, ma anche di vivere quel focolare strano e bizzarro adesso diretto da un padre che non è mai stato papà.
Gli tornò in mente l’ansia che aveva per Karin e Sebastian quand’erano piccoli. Si rifiutava di portarli anche solo al parco giochi. Roba da donne, diceva. Ma la verità era che moriva d’ansia già al pensiero, e la cosa ebbe fine solo quando i figli crebbero e smisero di essere, con suo enorme sollievo, la parte più vulnerabile, più dolorosa della sua vita.
Tra le tante cose – prima tra tutte quanto sia fondamentale il lavoro di cura, che provenga dalle madri o dai caregiver – Bronsky ci tiene a dirci anche che come alle donne spesso non è concesso di avere una carriera, degli interessi, il desiderio di uscire e divertirsi, bere alcol con le amiche allontanandosi dall’accudimento della famiglia, agli uomini non è concesso essere teneri, fragili e rinunciare alla mascolinità tossica e all’apparenza della durezza.
La storia di Walter e Barbara è l’emblema dell’egoismo di quegli amori che non sanno in alcun modo esprimersi.
Barbara non sta morendo racconta, con un abbondante pizzico di sarcasmo e un velo di tenerezza che emerge pian piano, la profonda essenza di una famiglia come tante, una famiglia normale che nasconde dietro all’ipocrisia del “si è sempre fatto così” segreti inconfessabili e sorprendenti.
Da leggere.

un libro per chi: vorrebbe tanto riuscire a far capire in famiglia il concetto di “lavoro di cura”
autrice: Alina Bronsky
titolo: Barbara non sta morendo
traduzione: Scilla Forti
editore: Keller
pagg. 247
€ 18