Per chi ama la narrativa mitteleuropea e in particolare la scrittura dell’ungherese Sándor Márai, Dezso Kosztolànyi dovrebbe essere un nome noto e un punto di riferimento.
Non sempre però i maestri sono conosciuti quanto meriterebbero, ed è per questo che dobbiamo essere molto grati a Edizioni Anfora per aver puntato il faro su uno degli autori ungheresi più importanti del XX secolo.
Con Anna Édes Kosztolànyi ci racconta una storia dai tratti fortemente noir, che rapisce ma non si svela del tutto, in un crescendo di pathos che tiene incollati alle pagine fino alla fine.
Un romanzo che ricorda una vicenda già raccontata da Margaret Atwood in L’altra Grace e che vede, nell’ordito ricamato da Kosztolànyi, un ritratto realistico e impietoso della società e una riflessione sul male che può nascondersi davvero ovunque.
Anna Édes
Siamo in Ungheria nel 1919, in una Budapest che rivede la luce dopo i difficili mesi del regime comunista instaurato dal terribile Bela Kun.
I borghesi Kornél e Angéla Vizy possono finalmente riprendere fiato e tornare a mostrare la ricchezza nascosta per mesi.
Consigliere ministeriale lui, rigida dama lei, i Vizy hanno subito un grave lutto e sepolto la loro giovane figlia, andando avanti con inerzia in un’esistenza mirata all’ostentazione del potere e permeata di ipocrisia familiare.
Angéla è il classico archetipo di moglie insoddisfatta e lunatica, che si mostra a vicini e amici come un’illustrissima dama dalla morale ineccepibile, mentre l’anima è corrosa dalla frustrazione di una vita priva di qualsiasi compiacimento.
Kornél, dal canto suo, ha atteso la liberazione per tornare a erigersi come esempio di integrità politica, pur nascondendo qualche peccatuccio di corruzione e avidità.
La coppia, comunque assestata in questo tran tran quotidiano, ha un grande cruccio: trovare una serva che sia operosa, onesta, non eccessivamente sgradevole, e che sia anche capace di farsi notare dalla società pur rimanendo sempre nell’ombra.
È Ficsor, il portinaio opportunista e banderuola nel vento del potere, a proporre ai Vizy di prendere a servizio Anna, la nipote già impiegata presso un’altra famiglia.
La descrive in maniera talmente convincente da trasformarla nell’ossessione grottesca della signora Vizy, bramosa di potersi liberare dell’attuale serva e di poter ostentare in società una cameriera degna del suo rispettabile rango.
E Anna, finalmente, arriva.
Silenziosa, pacata, quasi trasparente, umile al punto da sembrare irreale, si rivela subito dotata di tutti i pregi sognati dai Vizy: cucina bene, pulisce infaticabilmente ogni anfratto, mangia pochissimo ed è disinteressata al denaro.
La schiava perfetta, non c’è da aggiungere altro.
Non era l’oca di paese che inizialmente credeva che fosse. I tre anni trascorsi a Budapest l’avevano ripulita delle abitudini rozze. Si muoveva silenziosamente, si soffiava il naso silenziosamente, non aveva la parlata dialettale, confondeva solo la pronuncia delle ü e delle ö secondo l’usanza transdanubiana e a volte – peccato veniale – la chiamava “signora” anziché “illustrissima”.
Qualcosa di strano c’era, però: non mangiava.
È qui che Kosztolànyi inizia a sferrare colpi alla coscienza del lettore: la potente dicotomia tra padroni e schiavi viene messa in evidenza pagina dopo pagina, mescolandosi alle turbolente vicende storiche sullo sfondo.
Come può Anna sopportare la propria condizione? Come può non risentirsi dell’essere mostrata al mondo come una bestia rara, come un fenomeno di cui vantarsi? Come può tollerare a lungo un’esistenza priva di affetto e umanità?
Vizy cominciò ad ammorbidirsi ma non capitolò. Strano, prima aveva sempre difeso anche le cameriere peggiori per placare sua moglie. Questa volta invece assunse lui il ruolo dell’opposizione che esercita un controllo benevolo sul governo al potere. Faceva orecchie da mercante sentendone le lodi.
Sollevava delle obiezioni futili. Che era un po’ apatica, mai di buonumore, pareva fosse anche burbera. E che parlava a malapena.
La signora Vizy gli spiegò quanto egli stesse sbagliando. Anna a volte faceva anche dei sorrisi. Che cosa avrebbe dovuto fare? Perché avrebbe dovuto essere di buonumore? Una cameriera che lavorava ininterrottamente non era apatica. Era solo riservata. Oppure sarebbe stata meglio se fosse stata sfacciata come tutte le altre? Per carità.
L’arrivo del frivolo seduttore Jancsi, nipote dei Vizy, farà vacillare la sincera moralità di Anna, ma mai abbastanza da farle mettere in discussione il proprio ruolo di serva.
Serva a tal punto da rinunciare anche a una proposta di matrimonio, che l’avrebbe dunque liberata dal peso della schiavitù o che forse l’avrebbe intrappolata in un’altra forma di devozione: quella della moglie verso il marito.
La liberazione della misteriosa e dolce Anna arriva inspiegabile, feroce e inaspettata grazie a un coltello da cucina.
Nessuno mai comprenderà cosa abbia fatto scattare in lei la scintilla assassina e l’autore stesso non ce ne dà spiegazione, lasciandoci nel greve dubbio che nessun essere umano possa sopportare per sempre di vivere nell’ombra e nell’oppressione.
Con una scrittura limpida e moderna Anna Édes si conferma uncapolavoro vero, che ha tutto il diritto di diventare un classico presente in ogni libreria.
un libro per chi: ama la letteratura mitteleuropea e per chi sente il desiderio di esplorare i misteri dell’animo umano
autore: Dezsó Kosztolányi
titolo: Anna Édes
traduzione: Andrea Rényi e di Mónika Szilágyi
editore: Edizioni Anfora
pagg. 272
€ 17