A cena con l’assassino di Alexandra Benedict

Sulla copertina di A cena con l'assassino di Alexandra Benedict c'è un albero di natale stilizzato con appese, come decorazioni, otto chiavi, un coltello e una bottiglia di veleno

Il Natale, una casa isolata dalla tempesta, un gioco e dei partecipanti che nascondono dei segreti, in A cena con l’assassino di Alexandra Benedict, pubblicato da Newton Compton, ci sono tutti gli elementi di un giallo che dovrebbe intrattenere e divertire.

A cena con l’assassino

Sono moltissimi i romanzi che si ispirano all’espediente iniziale di Dieci piccoli indiani della maestra del giallo Agatha Christie, cioè un gruppo di persone invitate a soggiornare in una magione isolata, dove misteriosi sonetti o filastrocche aleggiano in un clima non certo rilassato.

A cena con l’assassino è uno di questi, perché a Endgame House, enorme villa isolata nello Yorkshire, viene riunita, su volontà dell’ultima proprietaria Liliana, l’ultima generazione della famiglia Armitage fatta di cugine e cugine che crescendo hanno allentato il legame che li univa nell’infanzia.
In questo ritrovo natalizio ci sono i figli naturali della matrona, l’incattivita Sara e il timido Gray, e i suoi nipoti: il bonario Thomas, la dolce Rachel e l’ex alcolista Ronnie, figli di Edward, fratello di Liliana; poi c’è Lily, che per Liliana da nipote è diventata figlia adottiva quando sua madre Mariana l’ha lasciata orfana suicidandosi.

Quest’ultima aveva solo nove anni quando ritrovò il cadavere della madre nel grande labirinto costruito nella tenuta di Endgame e il grande trauma subito allora continua a condizionare tutta la sua vita, tanto che aveva giurato a sè stessa che non avrebbe mai più messo piede nella casa di famiglia.
Ma zia Liliana è morta e tra le sue ultime volontà c’è quella di ripetere per un’ultima volta il Gioco del Natale, la tradizionale sfida a colpi di sonetti, indovinelli e anagrammi che ha sempre condotto per far divertire i bambini della famiglia.
In palio questa volta non ci sono dolci e piccoli regali ma la proprietà della casa che ha un valore decisamente alto.

Endgame House è persino più buia di quanto ricordasse. Un massiccio maniero del diciassettesimo secolo costruito con marmo e pietra calcarea che un tempo, come le era stato detto più volte da bambina, sembrava brillare all’alba e al tramonto. Ora assorbe ogni luce e si tiene stretto i suoi segreti.

Al suo arrivo nella vecchia villa Lily ritrova Isabelle, suo amore di gioventù, incaricata di gestire il gioco e di illustrare le regole a tutti gli avventori. A darle una mano, quando lei avrà lasciato la casa una volta iniziata la sfida, rimarrà la signora Castle, governante decisamente british.

Ronnie e Rachel sono accompagnati dai rispettivi coniugi, Sara si appoggia, prevaricandolo, a Gray, e a Lily, che in verità vorrebbe mettersi sotto le coperte e dormire per tutti i dodici giorni del ritiro, non resta che accettare la proposta di Tom di aiutarla ad affrontare la sfida.

L’atmosfera non è certo quella di una sana e gioviale riunione di famiglia; rancori e traumi infantili emergono e l’isolamento dovuto a una tempesta di neve non fa che esacerbare i rapporti, soprattutto con Sara, che si dimostra spietata e pronta a tutto per trovare le dodici chiavi tra le quali ci sarà quella utile ad aprire la stanza segreta in cui è nascosto l’atto di proprietà della casa.

Il giorno dopo aver ritrovato la prima chiave, il gruppo viene sconvolto da un cruento omicidio, e Lily, la più dotata a risolvere gli enigmi creati dalla zia, mentre continua a combattere i propri demoni si ritrova anche a dover cercare di capire chi sia l’assassino, prima che sia troppo tardi per tutti.

Lily afferra la sciarpa e se la sistema ben stretta attorno al collo, come se questo potesse difenderla dal gelo che le parole della signora Castle hanno fatto filtrare fino a dentro il suo cuore. L’ultima cosa a cui ha bisogno di pensare sono i fantasmi.

È un vero peccato che la narrazione messa in piedi da Alexandra Benedict regga solo in parte, dilungandosi e perdendosi troppo nel lato oscuro e drammatico del passato e non riuscendo a nascondere davvero chi sia l’assassino, informazione intuibilissima molto prima delle ultime pagine.
Per quanto sia apprezzabile tutto ciò che è enigma – e qui un plauso va fatto a Riccardo Ferrigato, traduttore del romanzo – si arriva alla fine della lettura un bel po’ provati dai cervellotici indizi lasciati dai sonetti di zia Liliana.

A cena con l’assassino, nonostante tutto questo, rimane una lettura piacevole il cui più grande pregio è quello di far percepire realmente a lettrici e lettori l’atmosfera misteriosa di una vecchia dimora che nasconde troppi segreti.

Sulla copertina di A cena con l'assassino di Alexandra Benedict c'è un albero di natale stilizzato con appese, come decorazioni, otto chiavi, un coltello e una bottiglia di veleno

un libro per chi: ha visto e rivisto “Invito a cena con delitto” e “Signori, il delitto è servito!”

autrice: Alexandra Benedict
titolo: A cena con l’assassino
traduzione: Riccardo Ferrigato
editore: Newton Compton Editori
pagg. 288
9.90

Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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