Articolo a cura di Metella Orazi.
Nei momenti di crisi o di grande cambiamento per qualcuno la solitudine può diventare uno stato necessario; A casa, il romanzo di Judith Hermann pubblicato da Fazi, racconta proprio di questa esigenza di appartarsi dal mondo.
A casa
La protagonista è una donna di 47 anni di cui non sappiamo il nome che è finita a vivere in un luogo remoto – presumibilmente in Germania – in una piccola casa vicino a una scogliera, con strade difficilmente percorribili, soprattutto in inverno.
La narrazione si apre con il racconto in prima persona di molti anni prima, quando la donna era ancora una ragazza e lavorava in una fabbrica di sigarette, dalla quale era stata licenziata perché si rifiutava di dire ‘buon appetito’ all’ora di pranzo.
Trent’anni dopo si è trasferita da sola vicino al mare, in quel luogo comodo solamente perché abbastanza vicino al pub nel quale lavora e gestito dal fratello.
Era alto e magro, con un che dell’eterno ragazzino, ma stava perdendo i capelli, aveva gli occhi iniettati di sangue, l’iride spenta, singole setole ispide gli spuntavano dalle sopracciglia come tentacoli di pesci abissali. Gli si stavano ritirando le gengive, sotto il mento gli pendeva un collo flaccido da tacchino. Io non ci tenevo a farglielo notare.
Il fratello sembra rimasto cristallizzato nell’adolescenza da playboy e continua a recitare ancora quella parte a quasi sessant’anni, con una problematica fidanzata poco più che ventenne.
Lei al contrario del fratello ha avuto una relazione convenzionale, un matrimonio e una figlia, ma ora che la figlia è uscita dal nido e girovaga per il mondo, ha deciso di interrompere il matrimonio; è fuggita dalla casa che condivideva con Otis, ma pur avendo messo distanza fisica tra loro continua ugualmente a scrivergli delle lettere in cui racconta delle sue giornate.
Penso che le persone come Otis aspettino la catastrofe per tutta la vita come se solo una catastrofe potesse dare un senso alle loro esistenze, come se la vita iniziasse solo con l’arrivo di un’emergenza.
Otis è un collezionista di cose vecchie, che hanno perso il loro valore, ma che a suo parere prima o poi, specie in un momento di crisi, torneranno utili. Conserva oltre agli oggetti anche una portentosa memoria a differenza della ex moglie che ha ricordi più evanescenti, ragione per la quale lei sembra volerli fissare, affidandoglieli tramite la corrispondenza.
L’unica interazione al di fuori del lavoro è con Mimi, la vicina di casa, un’artista eccentrica che invade lo spazio e il silenzio che la narratrice si è creata, e spinge dentro la bolla di solitudine dell’amica anche il fratello Arild, un agricoltore e allevatore di maiali, un uomo di poche parole ma ugualmente affascinante.
La vita rallenta, non trovi, dice Mimi. Io ho l’impressione che diventi sempre più lenta. È brutto per certi versi. Ma ti dà il tempo di capire ciò che hai – te lo mette davanti. Così vedi le cose di cui ha bisogno. E quelle a cui puoi rinunciare.
La protagonista di A casa si prende il suo tempo per capire quale sia il posto giusto nel mondo, immersa in un paesaggio naturale che stimola e riflette gli stati d’animo che attraversa.
Dopo essere stata moglie e madre ora la donna vuole uno spazio che sia solo suo, un luogo che la comprenda e accolga la sua essenza.
Il cerchio delle riflessioni della protagonista si chiude come si era aperto all’inizio, con il ricordo di una cassa di legno magica del passato, mentre ha sotto gli occhi un’altra cassetta di legno, una trappola per animali che ogni volta riserva una sorpresa diversa.
Lo stile è sobrio e delicato e nelle descrizioni dei paesaggi tocca punte più poetiche, avvolgendo chi legge in un’aria rarefatta di fascinazione.
Hermann attraverso il racconto delle cose semplici crea una storia suggestiva di cambiamento e ricerca della bellezza nella natura e nelle piccole cose.
un libro per chi: almeno una volta ha passato del tempo da solo a contemplare un paesaggio
autrice: Judith Hermann
titolo: A casa
traduzione: Teresa Ciuffoletti
editore: Fazi
pagg. 149
€ 18