Che cos’è un confine per la natura?
Possono accettare gli alberi di essere separati gli uni dagli altri a causa di linee immaginarie tracciate dagli uomini?
Parte da questa riflessione Il bosco del confine, bel romanzo breve di Federica Manzon pubblicato da Aboca, per arrivare a raccontarci schiettamente l’orrore della guerra e, in particolare, dell’assedio di Sarajevo.
Il romanzo sarà protagonista dell’incontro del 15 novembre del gruppo di lettura Babele.
Il bosco del confine
Schatzi, la protagonista di questo romanzo, abita a Trieste e fin da piccola ha percorso i boschi camminando accanto al padre di origini slave, un uomo libero e pacifista, che la educa a vivere la natura, a osservare la vita tra gli alberi e lungo i sentieri, a tendere sempre la mano verso lo sconosciuto per non averne mai timore.
Con che spirito ci guardiamo intorno quando passeggiamo nel bosco? Tra l’avventuroso e il romantico, come se guardassimo il mondo per la prima volta, diceva. Non ci importa della meta, incontriamo viandanti come noi, fuggitivi e clandestini, oziosi e inquieti, il bosco non si divide per nazionalità come una cartina geografica, hai mai visto una betulla ritrarre i rami per non sconfinare in territorio straniero?
I boschi sono quelli che confinano con la Jugoslavia, dove gli uomini del regime socialista di Tito son ben attenti a non lasciar passare nessun fuggitivo in cerca di fortuna all’Ovest.
La Jugoslavia di Tito, che fino agli anni 70 aveva mantenuto una parvenza di unità, già nel 1974 iniziò a dividersi in repubbliche federali, sempre più propense a marcare un’autonomia non solo economica.
Ma per Schatzi tutto questo non è qualcosa di cui doversi preoccupare, perché è solo un’adolescente come tante, che vive di piccole passioni e di grandi sogni.
Per il suo sedicesimo compleanno il padre decide di realizzarne uno: è il 1984 e insieme andranno a Sarajevo per assistere alle gare delle Olimpiadi invernali.
È qui che la ragazza incontra Luka, nipote di un amico del padre, che in pochissime ore – complice qualche piccola e pericolosa follia che solo l’incoscienza dei giovani può alimentare – la fa innamorare della città e dei suoi boschi.
Luka le fa vivere e sentire fino in fondo cosa voglia dire appartenere a un luogo, sentirne le radici profonde, e allo stesso tempo percepirne la fragilità, il conflitto che cova sotto la terra, pronto a esplodere da un momento all’altro.
In quei giorni di festa è la Jugoslavia a essere al centro del mondo, su tutti i giornali e in tv, o è Sarajevo, capitale della Repubblica Socialista di Bosnia ed Erzegovina?
Mai come in quei giorni è stato così facile per me accordarmi a una città, trasformare gesti in abitudini, strade in percorsi familiari, trattare una montagna come il giardino di casa e trovare per istinto la giusta distanza delle parole, entrare in confidenza.
Solo pochi anni dopo, nel 1993, una sanguinosa guerra costringerà il popolo di Sarajevo in un lungo assedio che diventa carneficina quotidiana.
Schatzi dalla pacifica Italia sente il bisogno di ritrovare Luka, di conoscerne il destino, e inizia a scrivergli lettere, che danno il la alla narrazione del giovane, testimone di orrore e morte in quella città che solo pochi anni prima era stata sotto gli occhi di tutti e che adesso è da tutti dimenticata.
Nei nostri boschi non ci sono più funghi e nemmeno animali. Non si sentono neanche più gli uccelli. Il bosco che mi ha salvato la vita ora si sta chiudendo su di noi. È diventato una foresta di morte. Non sappiamo più dove seppellire i cadaveri.
Che fine avrà fatto Luka? Sarà morto? Sarà riuscito a fuggire?
È il 2015 quando Schatzi, ormai adulta e lontana da Trieste, migrata verso l’ovest, decide di tornare a Sarajevo per ritrovare quella sensazione di casa e mettere insieme i pezzi di un dolore che non avrebbe dovuto appartenerle e che invece è rimasto lì, sepolto nei ricordi ma pur sempre vivo.
È molto pericoloso non avere un’identità collettiva.
È in queste poche parole di Dragan – uno dei personaggi secondari del romanzo e amico di Luka, che Schatzi incontra per caso nel suo ritorno in città – che è racchiuso il senso profondo di quanto viene raccontato in queste pagine, di ciò che accadde quando la ex Jugoslavia si sgretolò e i popoli che fino a qualche anno prima erano riuniti sotto la stessa bandiera finirono a farsi la guerra e a uccidersi vicendevolmente.
Sai cos’è un confine? Un confine non è niente, è un bordo, è un punto in cui si incontrano due tessuti, è un punto in cui la trama è esposta e si fa più sottile.
Con una prosa schietta e senza fronzoli, mai artificiosa e per questo capace di permeare i pensieri di chi legge, diventando un tutt’uno con essi, Federica Manzon racconta l’identità degli uomini, che passa attraverso la natura e che si ritrova purtroppo spesso circoscritta dai confini creati dalla politica.
Il bosco del confine è un romanzo che riesce in poche pagine a restituire l’intensità dei fatti e dei sentimenti, di anni dolorosi e cupi ma anche di ritrovate salvifiche libertà.
Da leggere.
un libro per chi: nella natura cerca sempre le risposte
autrice: Federica Manzon
titolo: Il bosco del confine
editore: Aboca
pagg. 173
€ 14