Leggendo Il tempo delle tartarughe, i racconti di Francesca Scotti editi da Hacca, sono apparentemente tante le domande che rimangono in sospeso, poiché è nella natura umana il profondo desiderio di voler comprendere tutto, di non rimanere senza la sicurezza delle risposte.
Ma la magia di questo libro è proprio questa: lasciarci con dubbi e incertezze, appesi a ciò che non vediamo, liberi di riempire il dopo con decine di riflessioni che – a distanza di ore, giorni e settimane – si rivelano improvvisamente come le risposte che andavamo cercando, le più adatte a ciascuno di noi.
Il tempo delle tartarughe
Così diventa quasi un gioco immaginare cosa succede ai protagonisti dei quindici racconti su cui l’autrice si muove leggera e morbida come la piuma di un pulcino e altrettanto affilata come la lama di una katana.
Perché sì, c’è qualcosa che accomuna ogni storia qui raccontata: l’evoluzione fulminea che cambia la prospettiva nel tempo di un respiro.
Se quindi un attimo prima ci sembrava di aver capito, di esserci immaginati qualcosa di ben preciso, in un battito di ciglia ci spostiamo dall’altro lato, sopra o sotto poco importa, e tutto ciò che abbiamo letto e compreso, a cui abbiamo dato una forma, appare diverso, più complesso, talvolta insolito.
Ed è lì che inizia quella magia di cui si parlava poco fa, la possibilità di prendere in mano il testimone e iniziare a lasciar correre la fantasia o a ricercare nella memoria un ricordo, una sensazione, un vissuto da far riemergere, a completamento di quella che è la vita dei personaggi, così simile alla nostra, seppure a tratti incredibile.
Allora siamo accanto alla protagonista di Runa e viviamo il suo stesso rimpianto, poi diventiamo Michiko e come lei abbiamo bisogno di un guscio che ci protegga, come Yoshi e Sofia Mariko cerchiamo la pace che sappiamo essere a pochi passi, più semplice di come l’abbiamo sempre immaginata.
Yoshi andava a dormire subito dopo cena, mentre lei risistemava la cucina e preparava la colazione per quando sarebbero rientrati dalla notte in auto
Poi, verso l’una, Sofia Mariko lo svegliava. Lui si vestiva, lei indossava il pigiama. Si portava una coperta sottile e un cuscino di noccioli di ciliegia, l’unico che le distendesse il collo. Si rannicchiava sul sedile posteriore, lui metteva in moto e guidava fino al mattino.
E ancora siamo il buio e il disordine che avvolgono Sveva, siamo nelle note del violoncello suonato dal principiante Filippo, siamo l’espressione sul volto dell’amica di Anna davanti allo specchio.
Sento un sibilo nelle orecchie. Nei suoi occhi vedo un caleidoscopio senza alcuna bellezza. Mi sembra assurdo, impossibile, magari è una finta, vuole farmi paura perché ho capito che tra noi è finita. Lo so, mi sto solo dando importanza per darla a lei, è la voce del dottor B. Stai zitto, che cazzo. Neanche mi hai chiamato, e se fossi finita sotto un tram? Forse dovrei fare qualcosa. Anzi, serve una minima variazione capace di produrre un’immensa variazione, come quella storia delle farfalle e degli tsunami. Penso agli insetti infilzati nelle teche, immobili, incapace di cambiare l’ordine delle cose.
È un grande privilegio quello che ci offre Il tempo delle tartarughe, quello di essere il pieno che riempie i vuoti, di essere noi stessi le risposte.
Francesca Scotti conferma qui la sensibilità narrativa che era già emersa nei precedenti lavori, che si arricchisce anche del talento di saper raccontare il sommerso in pochissime sapienti e icastiche parole.
Una lettura pluridimensionale che somiglia tanto a un viaggio introspettivo rivelatore.
un libro per chi: crede di non sapere che strada prendere
autrice: Francesca Scotti
titolo: Il tempo delle tartarughe
editore: Hacca
pagg. 124
€ 15