Non è solo un romanzo Il ballo delle pazze di Victoria Mas, pubblicato da edizioni e/o, perché la Salpêtrière, l’ospedale parigino nel cui reparto psichiatrico si svolgono le vicende raccontate, esiste realmente e tra le sue mura molte, troppe donne sono state rinchiuse al di là di una possibile patologia mentale.
Il ballo delle pazze
Eugénie Clèry è una giovane della borghesia francese che ha un dono: percepisce gli spiriti, riesce a vederli e può comunicare con loro.
Il suo segreto non può essere condiviso con l’intera famiglia, perché la rigida razionalità del padre, che già ne ha poca considerazione in quanto donna, non potrebbe mai accettare una tale scoperta.
Per lui il posto delle donne non è in pubblico. Le ragazze devono restare a casa, nell’attesa di trovare un marito da accudire e con cui figliare. Non possono avere opinioni, non possono ambire ad altri ruoli.
Con la sfrontatezza della gioventù, Eugénie, complice il fratello Thèophile che la porta con sé nel fermento di un salotto letterario, scopre l’esistenza di un movimento spiritista e riesce a procurarsi Il libro degli spiriti di Allan Kardec, testo che per la prima volta la fa sentire normale e meno sola.
Mentre la ragazza prende atto di non essere mai stata una visionaria, alla Salpêtrière il neurologo Jean-Martin Charcot continua a fare esperimenti sulle degenti, cercando di curare l’isteria, malattia riconosciuta come tipicamente femminile.
A osservarlo con ammirazione c’è Geneviève, l’Anziana capoinfermiera che da sempre si occupa di organizzare il manicomio e tenere d’occhio le alienate. Una donna algida e distaccata, che però nasconde un segreto legato alla compianta sorella Blandine, scomparsa molti anni prima.
Geneviève osserva il pubblico. Certe facce le sono note, riconosce medici, scrittori, giornalisti, interni, politici, artisti, tutti allo stesso tempo curiosi, già convertiti o scettici. Prova fierezza. È fiera che a Parigi un uomo solo riesca a suscitare un tale interesse da riempire ogni settimana le panche dell’auditorium. Eccolo che entra in scena. Nella sala scende il silenzio. Charcot impone senza esitazioni la sua grossa e seria figura a quel pubblico di sguardi affascinati. Il suo profilo allungato ricorda l’eleganza e la dignità delle statue greche. Ha lo sguardo preciso e impenetrabile del medico che da anni studia le vulnerabilità più profonde di donne rifiutate dalla famiglia e dalla società. Sa la speranza che suscita in quelle alienate. Sa che tutta Parigi conosce il suo nome. Gli è stata accordata autorità, e lui la esercita ormai con la convinzione che gli sia stata data per una ragione: che sarà il suo talento a far progredire la medicina.
Sono davvero tutte isteriche e pazze le donne rinchiuse alla Salpêtrière?
Questi sono i tempi in cui in manicomio non venivano rinchiuse solo persone malate ma perlopiù donne maltrattate, molestate, rifiutate ed esiliate dagli uomini, a volte perché ormai considerate inutili, a volte perché in cerca di un’emancipazione vietata per l’epoca, spesso per essere punite di aver fatto (o non fatto) qualcosa.
La Salpêtrière è un deposito per tutte quelle che disturbano l’ordine costituito, un manicomio per tutte quelle la cui sensibilità non corrisponde alle aspettative, una prigione per donne colpevoli di avere un’opinione.
Ed è là che finisce anche Eugénie, rea di aver confidato il suo straordinario dono all’amata nonna.
Con l’inganno la ragazza viene condotta dal padre e dal fratello fino alle porte dell’ospedale, dove viene rinchiusa per essere curata e rimessa sulla retta via.
Lo scontro iniziale tra la giovane e l’Anziana ben presto si trasforma in qualcosa di diverso, grazie al dono di Eugénie e al dolore che Geneviève ha sempre celato nel profondo di sé.
E mentre il loro rapporto prende una piega inaspettata, le ospiti della Salpêtrière si preparano al grande ballo delle pazze, durante il quale i parigini nobili, borghesi e facoltosi possono accedere al reparto per guardarle da vicino come si farebbe con gli esotici animali dell zoo.
Le pazze avevano smesso di spaventare, ormai affascinavano. In seguito a quell’interesse era stato istituito da vari anni il ballo di mezza quaresima, il loro ballo, l’evento annuale della capitale, in cui quelli che non potevano vantarsi di essere in possesso dell’invito passavano i cancelli da un ingresso riservato solitamente alle malate mentali. Per il tempo di una sera un pezzo di Parigi si ricava dalle donne che da quella serata in costume si aspettavano tutto: uno sguardo, un sorriso, una carezza, un complimento, una promessa, un aiuto, una liberazione.
Lo stile di scrittura di Virginie Mas non nasconde il passato dell’autrice come sceneggiatrice cinematrografica: pensato e raccontato evidentemente come se fosse già stata presa la decisione di trasformarlo in film, Il ballo delle pazze è un romanzo di protesta che non nasconde nulla di ciò che hanno subito le pazienti della Salpêtrière e di tutti gli ospedali psichiatrici che in passato hanno usato le proprie mura per contenere la ribellione delle donne a una società patriarcale che le voleva mute e non pensanti.
Donne a cui è stata severamente vietata la libertà, trasformandole in alienate pericolose non tanto per se stesse e per gli altri ma per il potere maschile che ha sempre governato il mondo.
Un medico pensa sempre di saperne più di un paziente, e un uomo pensa sempre di saperne più di una donna: è l’intuizione di quello sguardo che in quel momento rende ansiose le giovani in attesa di essere visitate.
Il ballo delle pazze è la storia di un’oppressione che ancora esiste, seppur oggi più sfumata in molti paesi occidentali, e che deve tuttora essere combattuta.
un libro per chi: non si stanca mai d’indignarsi per la questione femminile
autrice: Victoria Mas
titolo: Il ballo delle pazze
traduzione: Alberto Bracci Testasecca
editore: edizioni e/o
pagg. 181
€ 16,50
Il film
Disponibile su Amazon Prime Video, il film tratto dal romanzo di Victoria Mas, diretto da Mélanie Laurent, qui anche interprete dell’algida e poi pentita Geneviève, e con Lou de Laâge nella parte della medium Eugénie, ricalca quasi del tutto fedelmente le vicende narrate nel romanzo.
Dando meno spazio all’introspezione delle protagoniste e alle storie che le hanno portate a ritrovarsi rinchiuse, siano esse pazienti o infermiere, a favore di una rimarcata e necessaria lettura della questione femminile, il lungometraggio non riesce però a mantenere alta l’attenzione, come invece accade al romanzo.
La narrazione è forse un po’ piatta e prevedibile nella sua estrema eleganza: manca appunto di approfondimenti su ciò che più affascina del mondo della pazze, manca il focus sui loro traumi, sul vissuto, sulle lotte con gli uomini, sui soprusi che le hanno portate a essere rinchiuse, ma anche sulla morbosa attrazione sensuale ed erotica che destano non solo nel popolo ma anche e soprattutto in chi dovrebbe prendersene cura.
Il ballo delle pazze è un film ben fatto che avrebbe però potuto essere un’opera simbolo della forza e della solidarietà femminile, nonché dell’oppressione maschile, ma che invece scivola via senza lasciare un segno profondo negli spettatori e nelle spettatrici.