Articolo a cura di Paola Migliorino.
Nominato al Premio Strega 2019, Roma di Nicola Manuppelli – pubblicato da Miraggi Edizioni – è un romanzo di formazione che è anche, soprattutto, una grande dichiarazione d’amore per la città eterna.
Roma
Dunque, c’era questa storia che girava a Cinecittà…
Un libro che inizia con “Dunque” già ci mette a nostro agio, ci fa sentire fra amici che si raccontano storie; per i puristi non sarà forse l’incipit perfetto dal punto di vista grammaticale, ma indubbiamente è una scelta che fa saltare i preamboli per buttarsi subito fra i vicoli di Trastevere!
Dunque, Roma racconta la storia di Tommaso, un giovane quasi-giornalista di Milano, che decide di abbandonare il grigiore e le regole certe della sua città per catapultarsi nel mondo pirotecnico della Roma dei primissimi anni Settanta.
Lasciato un lavoro promettente, e tutto sommato soddisfacente al Corriere della Sera, Tommaso si trasferisce così, senza un progetto certo, spinto solo dall’irrefrenabile bisogno di abbandonare un percorso già quasi delineato, per cercare la vita vera.
E Roma di certo non lo delude!
Giunto nella frenetica capitale, il giovane trascorre i primi giorni in un quartiere popolare, lontano dai fasti e dallo splendore decadente del centro storico, travolto da un’umanità totalmente diversa da quella misurata e silenziosa di Milano; persino il palazzo che all’inizio lo ospita è una grande comune, in cui le porte sono sempre aperte e gli spazi privati (bagni, cucine, tv) sono messi a disposizione dei vicini che ne hanno bisogno.
Tanto Milano è sobria e rigorosa, tanto Roma travolge il protagonista con le stravaganze e la felicità di una città in pieno boom economico: inseritosi ben presto in uno strano gruppo che gravita attorno alla Dolce vita, Tommaso inizia a vivere di espedienti avventurosi e a frequentare il mondo di Cinecittà.
Milano per me sempre stata una città fatta di barriere, stoica là dove Roma è epicurea. Ho conosciuto a Roma molti più Epicuro che Seneca, molta più gente pronta ad aprirsi al piacere del tempo e della chiacchiera, della conoscenza che persone ostinate nel lasciarsi sempre l’oggi alle spalle, come nella Milano vertiginosamente e verticalmente proiettata verso un obiettivo ogni giorno più in là… La mia Roma è un riconciliarsi con la vita sapendo che la cosa sola cosa che abbiamo. La mia Roma è una battuta sprezzante capace di ribaltare anche la più somma austerità, è l’aponia e l’atarassia con cui guarire dai piccoli inutili drammi quotidiani, perché la lista dei drammi non è la vita ma un’interruzione sgarbata di essa… la mia Roma vive all’aperto, non si svuota come Milano, non è le strade strette e grigie della città di Manzoni, né la sua eleganza; è una poesia di Belli, aperta, come gli spazi che si aprono improvvisamente al centro della città, ignari della propria bellezza terrena, come le chiome dei pini marittimi quando si fanno accarezzare dal vento sui Fori Imperiali, attorno alle rovine, persino in quelle strade più popolari che quel giorno sfrecciavano fuori dai finestrini del tram.
La vita del protagonista diventa quindi occasione per raccontare aneddoti curiosi (coriandoli di storie) su quel mondo felliniano, e farci incontrare personaggi memorabili, reali e inventati: così di fianco a Gassman, Fellini, Anna Magnani, Burt Lancaster, Gore Vidal, etc., troviamo una miriade di comparse grottesche, non meno affascinanti dei divi da rotocalco. Tra una storiella e l’altra seguiamo così Tommaso per i vicoli della città eterna, dentro le grotte ambiguamente frequentate del Testaccio o le cave della Caffarella, lungo Via Veneto o le strade allora non ancora del tutto asfaltate del Pigneto.
Il romanzo è anche una sorta di educazione sentimentale per un giovane ingenuo e sprovveduto, che al termine di un anno vissuto orgiasticamente, si ritroverà finalmente uomo.
Ricordo le labbra di Judy su cui si era depositato qualche granellino di sabbia, un infinitesimale pezzo di mondo, che assaporai come fosse miele; il mio primo bacio a Roma, così intenso che tutto il resto dei nostri corpi rimaneva immobile, quasi non servisse aggiungere altro.
Spontaneo il paragone con la Roma di Fellini o quella de La grande bellezza di Sorrentino: stessa atmosfera, stesse suggestioni, stessa umanità da circo equestre e soprattutto la stessa magnifica, superba città.
Il romanzo non nasconde la sua sincera passione per questa città unica, piena di contraddizioni e di splendore, volgare e sublime al tempo stesso.
Impossibile allora non chiudere citando le parole che l’autore fa pronunciare a Federico Fellini:
Le storie di Roma sono così, c’è un po’ di allegria e c’è sempre anche un po’ di amarezza. Per questo mi piace. Perché Roma è come i clown. Con tutto quel trucco esagerato e quella bocca rossa che sorride e sembra insanguinata. Roma mima, parla, sghignazza, sbraccia, gesticola e muove il culo, è buffa, è tragica, è misteriosa, è pubblica ed è solitaria, cammina con le gambe molli e poi improvvisamente saltella. È la città dell’acqua e della fede. È un ammasso disordinato di attrezzi di scena. Roma non può avere un ordine perché ti ci devi perdere. Roma è una patacca ed è un rubino. Roma è una regina degli zingari delle lunghe occhiate silenziose. È una risata che esplode all’improvviso. È Anna Magnani. È una bestiola selvatica. È una città di bambini svogliati, scettici e maleducati. E Roma è una madre coccolona, che non ti sgrida mai. A Roma poi essere tutto, tutto si può fare, tutto si può creare e diventare. Roma è un’orgia gastro-sessuale. È una giungla tiepida e tranquilla dove ci si può nascondere bene. Roma è un concerto d’orchestra, coi musicisti che tirano alla giornata. È un friccico di luna.
un libro per chi: non sa scegliere fra Milano e Roma, fra Seneca ed Epicuro
autore: Nicola Manuppelli
titolo: Roma
editore: Miraggi
pagg. 320
€ 18