È una fiaba immaginifica e intrisa di realismo magico E dal cielo caddero tre mele, romanzo dell’armena Narine Abgarjan, pubblicato da Francesco Brioschi Editore.
La storia di un popolo vessato dal destino e della sua terra ripetutamente ferita, che difficilmente il lettore potrà dimenticare, immergendosi completamente nelle surreali vicende così ben descritte dall’autrice.
E dal cielo caddero tre mele
Maran è un paesino arroccato in cima ai più alti e aspri monti armeni.
Non è un luogo per giovani, spazzati via da guerre feroci e carestie impietose.
Anatolija ha passato la cinquantina da un bel po’ di tempo e la sua vita non è stata certo rose e fiori.
Ha visto scorrere il sangue dei violenti massacri bellici, ha patito la fame come i suoi compaesani, ha avuto un marito rozzo e violento, che non le ha risparmiato botte e stupri.
L’anziana donna però ha avuto i libri, gli animali e le piante, a compensare gli orrori e a colmare il vuoto profondo generato dalla mancanza di un figlio.
L’unico rifugio in quella sua vita buia diventò leggere. I primi anni, con la biblioteca sempre deserta, Anatolija consacrò alla lettura ogni istante che trascorreva al lavoro.
Piano piano, grazie a un gusto innato e a un ottimo fiuto, imparò a distinguere i bei libri da quelli brutti e si innamorò dei classici russi e francesi; non del conte Tolstoj, però, che dopo Anna Karenina prese in un odio tenace e senza appello. Siccome trattava i personaggi femminili con insopportabile supponenza e freddezza, Anatolija decise che era un despota e un tiranno e, per non arrabbiarsi ogni momento trovandoselo davanti, nascose tutti i suoi libri là dove non arriva a vederli. Sfiancata dalle vessazioni del marito, non aveva alcuna intenzione di rassegnarsi ad analoghi soprusi nelle pagine dei libri.
Anatolija ora è pronta a morire. Da giorni sanguina abbondantemente, la debolezza ormai l’ha sfiancata, non c’è altro che ella possa e voglia fare per restare in questo mondo che tanto l’ha ferita.
Nemmeno gli amici vicini, la vecchia guaritrice Jasaman e il cocciuto Ovanes, riescono a scalfire il suo desiderio di lasciarsi scivolare verso il tanto anelato ottundimento mortifero.
Anche Vasilij ha conosciuto il dolore e la morte. Dapprima la madre, nei giorni più duri della carestia, poi il visionario fratello, capace di vedere le anime dei morti e di prevedere disgrazie e catastrofi. E ancora i tre figli maschi, macellati dalla guerra, e la moglie Magtachine, impazzita dopo una vita di sofferenze.
Prima di marzo, però, prima che l’inverno finisse, Maran dovette dire addio a metà dei suoi abitanti. Febbraio fu il mese delle sepolture; ogni mattina Vasilij e gli altri uomini facevano il giro delle case, raccoglievano i morti e li seppellivano nelle fosse comuni: per scavarne una testa non bastavano le forze. I primi ad andarsene furono i vecchi e i bambini, poi toccò alle donne; gli uomini ressero più a lungo, ma quella di accompagnare all’altro mondo coloro che avevano più cari della vita fu comunque una maledizione disumana, insopportabile.
Vasilij ormai ha sessant’anni e dalla vita ora si aspetta solitudine e una quotidianità lenta e ripetitiva, che lo accompagni fino agli ultimi giorni.
Ma i vecchi del paese, però, hanno in mente ben altri piani.
Quando si è rimasti in poche anime in un paesino fatto di nulla, non c’è molto altro da fare che guardarsi intorno e osservare chi ti sta accanto, rintracciandone i desideri più profondi.
Anatolija e Vasilij sono due brave persone, che la vita ha ingiustamente sferzato.
Perché dovrebbero morire soli, quando potrebbero vivere insieme?
Le vite dei due anziani s’intrecciano con quelle di Valinka e del nipote Tigran, su cui veglia un misterioso pavone bianco, arrivato in paese molti anni prima con un carico di bestiame utile a ripopolare una terra ormai indurita dalla carestia.
Un pavone dall’aura magica, che con il suo grido lanciato verso la valle, scandisce il tempo di Maran.
La primavera dell’anno in cui la guerra finì, Vano ce l’aveva stampata in testa tanto quanto il giorno in cui era nato Tigran: alla perfezione, fin nei minimi dettagli. Se la sera prima si era preso la briga di contare e aveva scoperto che erano passati trentatré anni esatti dal giorno in cui il pavone era entrato in casa loro, la mattina seguente lui e Valinka furono svegliati da un grido roco dell’uccello, che chissà come – dato che da quell’inverno aveva smesso di camminare e reggeva a stento la testa – era arrivato alla porta d’ingresso e la grattava col becco cercando di aprirla e chiamandoli in soccorso. Vano lo prese in braccio e uscì sulla veranda nel momento stesso in cui il cancello si aprì lasciando entrare un uomo ridotto pelle e ossa e coperto di cicatrici, ma vivo: suo nipote. Il pavone mori quella sera stessa fra le braccia di Tigran…
Mentre sullo sfondo scorre la storia dell’Armenia, dalla guerra che falciò tante giovani vite, alla carestia che affamò tutti, passando attraverso un’apocalittica invasione di ratti e insetti, le vicende di questo popolo anziano ma speranzoso scalfiscono anche il lettore più duro e incredulo, avvolgendolo nel caldo e salvifico abbraccio di chi sa che tutto può accadere.
Una storia bellissima e stupefacente quella di E dal cielo caddero tre mele, che ci ricorda che soli non siamo altro che granelli di polvere, ma uniti ci trasformiamo in roccia capace di resistere a tutto.
Il finale – vibrante, dolce, commovente – è quanto di meglio possa accadere a chi necessita di sogni e poesia.
un libro per chi: cerca una fiaba rincuorante
autrice: Narine Abgarjan
titolo: E dal cielo caddero tre mele
traduzione: Claudia Zonghetti
editore: Francesco Brioschi Editore
pagg. 268
€ 18
Forse una letterura adeguata al periodo natalizio ? 🙂
Una lettura che fa stare bene, quindi adatta a questo periodo ma anche sempre! 🙂
Appena finito di leggere ispirata dal tuo consiglio! Bellissimo, una lettura che regala benessere. Grazie per i preziosi consigli, mai banali, fonte di piccoli capolavori.
Grazie Laura, mi dai una grande soddisfazione, soprattutto perché ci tengo davvero tanto a far scoprire gioielli narrativi come questo e tutti quelli delle piccole case editrici!
La mia definizione per questo libro è stata “struggentemente bello”. Genera pace dalla prima all’ultima pagina. Richiama ai valori della semplicità, dei piccoli gesti e dei grandi silenzi. La vecchiaia diventa una parte della vita dove i “vecchi” vivono. È un libro “tattile”. Lo leggi, ti fermi, lo chiudi, rifletti accarezzando la copertina attendendo che la pace profusa dalle parole e dalla tua immaginazione ti pervada. Lettura eccellente, il narrare fluido intercalato da brevi ed essenziali dialoghi, magnifuche le descrizioni di personaggi e paesaggi. Non lo si scordera’ facilmente.
Cara Daniela, non avrei saputo dirlo meglio!
È un romanzo a cui penso ancora ogni giorno, sempre con molto trasporto.