Ebbene, confesso: a vent’anni avevo un Furby, un simpatico robottino di peluche che interagiva con me attraverso funzioni molto basiche.
Me lo aveva regalato il fidanzato del momento, prendendone uno anche per sé, in modo che non si sentissero soli quando li lasciavamo a casa o chiusi in macchina, nell’attesa del nostro ritorno.
A ripensarci oggi, dopo aver letto Kentuki, il romanzo di Samanta Schweblin pubblicato in Italia da SUR, provo una sensazione di straniamento misto a qualcosa di simile al terrore.
Kentuki
Non stiamo parlando di un futuro lontano o di una distopia.
Il mondo dei kentuki – conigli, panda, topi, draghi, corvi di peluche, che al loro interno nascondono un software, telecamera e sensori – è il nostro mondo, quello che conosciamo bene e che ogni giorno ci porta qui, davanti a uno schermo acceso, a cercare informazioni, a condividere vicende, a cercare emozioni.
Un mondo in cui si può scegliere se avere uno di questi pupazzi animati, diventando quindi un sorvegliato speciale, o se essere uno di essi, trasformandosi in un voyeur/angelo custode.
Una realtà dove la tecnologia diventa feticismo e ossessione, dove da essa si pretende l’annientamento della solitudine e il controllo delle relazioni.
Staccò i sigilli di garanzia e aprì la confezione. Odorava di tecnologia, di plastica e di ovatta. C’era qualcosa di emozionante in questo, la distrazione quasi miracolosa di srotolare cavi nuovi e ordinatamente ripiegati, di togliere il cellofan a due diversi tipi di adattatori elettrici, di accarezzare la plastica setosa del caricatore.
Davanti e dentro a ogni kentuki c’è un essere umano.
C’è Emilia, che ha ricevuto il pupazzo dal figlio lontano e che si trova a osservare e a voler bene a Eva, una ragazza che vive una relazione amorosa malata; c’è l’italiano Enzo che, dopo la burrascosa separazione dalla moglie, ha acquistato un kentuki per fare compagnia al figlio, ritrovandosi però ad avere per casa un pupazzo misterioso e inquietante; c’è Grigor che ha intuito la possibilità di fare soldi manipolando il sistema.
Come mai il prezzo dei codici continuava a salire? Dipendeva dalla crescita della domanda? C’era davvero più gente interessata a guardare che essere guardata? Non c’era bisogno di sofisticate analisi di marketing, a Grigor bastava un po’ di buon senso per trarre le sue conclusioni. Ma i pro e i contro della scelta tra l’essere padrone o essere kentuki non spiegavano mai in modo esauriente i vantaggi di ciascuna posizione. Pochi erano disposti esporre la propria intimità agli occhi di uno sconosciuto, mentre a tutti piaceva guardare.
C’è anche Marvin, che dalla calda Antigua sogna di vedere e toccare la neve.
Grazie a un kentuki in Norvegia riuscirà a farlo.
A qualcuno era venuta l’idea che maltrattare un kentuki era crudele come tenere un cane legato tutto il giorno sotto il sole, ancora più crudele se si pensava che dall’altra parte c’era un essere umano, e alcuni utenti avevano provato a fondare dei club e a liberare i kentuki che secondo loro venivano maltrattati. Ma che senso aveva per un kentuki voler essere libero? Non bastava disconnettersi alla fine? Marvin sapeva che nel mondo kentuki la libertà non era come la libertà nel mondo reale, ma questo non risolveva nulla, se si partiva dal principio che anche il mondo kentuki era un mondo reale.
È la prosa di Samanta Schweblin – contemporanea, asciutta, brillante e avvincente – a rendere perfettamente l’atmosfera di questo mondo in cui le relazioni passano attraverso un pupazzo e una telecamera, come a voler tenere lontani i sentimenti più veri in favore di rapporti sempre più sterili e conformati.
Kentuki è stato definito horror, distopia, fantascienza, ma altro non è che una ficcante e lucida analisi, indubbiamente realistica, di una società che impone filtri al contatto umano, pur di non ammettere le proprie fragilità.
Da leggere con stupore ma non troppo.
un libro per chi: non ha paura della Rete
autore: Samanta Schweblin
titolo: Kentuki
traduzione: Maria Nicola
editore: SUR
pagg. 230
€ 16,50
Devo dire che non mi incuriosiva molto, ma leggere questa recensione è stato utile per valutarlo meglio 🙂 Magari ci penserò 🙂
Diciamo che bisogna essere attratti da certi argomenti, per apprezzarlo al meglio.
È comunque un tema avvincente, sicuramente florido di riflessioni.