Si possono spendere solo copiosi e positivi aggettivi superlativi per il breve romanzo di Valentina Di Cesare, L’anno che Bartolo decise di morire, pubblicato dalla casa editrice Arkadia, sempre più attenta a prendersi cura di grandi talenti letterari.
Un libricino di poco più di cento pagine capace di parlare all’anima di ciascun lettore, sussurrando doverose e semplici verità con la medesima indiscutibile saggezza di un solenne oracolo.
L’anno che Bartolo decise di morire
Bartolo è un uomo buono.
Una persona per bene, generosa, capace di ascoltare tutti, di avere parole di conforto per chi ne ha bisogno, di tendere una mano senza mai aspettarsi nulla in cambio.
Un’attitudine assolutamente spontanea, mossa da un’empatia straordinaria.
Bartolo ama la cittadina in cui vive e a cui ha voluto tornare.
Ama il suo lavoro di custode museale. Ama gli amici di sempre, quelli con cui è cresciuto e che continua a vedere con gli stessi occhi di quando era ragazzo.
Ama condividere il tempo e le parole, pur sapendo farsi da parte e stare in silenzio quando necessario.
«Ha da accendere?», gli domandò il giornalista, e Bartolo gli porse l’accendino, riconoscendo solo in quel momento la voce e il viso del famoso cronista. Veriani gli fece qualche domanda sulla città, i monumenti, l’amministrazione, la viabilità, gli eventi culturali ma non accennò alla questione della fabbrica in chiusura, alle mobilitazioni, al fantasma della disoccupazione e Bartolo raccontò tutto quel che sapeva. Rispose sui monumenti e altre amenità aggiungendo qualche aneddoto meno noto e prezioso. Pian piano, alcuni che erano dentro al bar uscirono e si avvicinarono per ascoltare, perché era sempre bello prestare attenzione all’allegria che gli si accendeva negli occhi quando narrava dei suoi luoghi, di ciò che amava, era bello quanto fosse votato non alla sapienza o alla sterile erudizione ma alla schietta conoscenza e alla consapevolezza dei fatti, considerate tutte le variabili e valutati tutti i sentimenti.
Bartolo è uno straordinario uomo normale, a vederlo da fuori addirittura banale, con il suo tran tran quotidiano al lavoro, i caffè al bar, le serate allegre in compagnia e le chiacchiere con il vicino di casa, il saggio e scorbutico maestro in pensione Nino.
Ma Bartolo di sé non parla mai. Non racconta che qualcosa gli sta rubando il respiro e ottenebrando i pensieri. Non dice che la sua notte è fatta di dubbi e pensieri ossessivi, di riflessioni che sanno di circoli viziosi da cui non si può uscire. Non chiede per non disturbare, non parla per non pesare.
Mai per se stesso.
Per Lucio, però, è pronto a spendersi in lunghi confronti con gli amici. L’uomo ha perso il lavoro e si arrabatta alla meglio per trovare i soldi da passare all’ex moglie per mantenere il figlio.
Bartolo sa che Lucio ora si sente inutile, messo da parte, in netto svantaggio nei confronti della vita, ed è per questo che gli amici devono stringersi intorno a lui, farlo sentire amato, essere presenti anche solo per sentirsi dire “sto male”.
Per quanto una persona possa godere di aiuti e di vantaggi in più rispetto a un’altra, nessuno di noi è esente dall’imprevisto, dalle famose variabili impazzite, imponderabili. Le tragedie arrivano gratis senza che nessuno se le aspetti, così è, e spero che questo vi sia ben chiaro.
Ma a volte capita che uno scontato indicativo del verbo dovere si conclami in un meno impegnativo condizionale, così Bartolo è costretto a prendere atto che Giovanni, Roberto, Renzo e Vito – gli amici di sempre, cresciuti con lui e Lucio – hanno ben altro da fare che prendersi cura di qualcuno a cui le opportunità hanno voltato le spalle.
Ognuno ha i propri problemi, ognuno cavalca la propria quotidianità nella speranza di non farsi disarcionare e no, non è cattiveria, è solo che abbiamo da fare… ma poi arriviamo, eh… facci finire le nostre cose, tanto Lucio aspetta, Lucio non ha altro da fare, Lucio non deve andare al lavoro, e poi con la moglie è finita, che fretta vuoi che abbia?
Ma sai quante vite finiscono e iniziano contemporaneamente? Il tempo mi pare un muro che si spezza da una parte e si ricompone dall’altra, una parete di gesso che si dissolve e si rialza insieme, che non riesce a toccare il cielo né a sprofondare nelle viscere nella terra. Il tempo fa arrabbiare gli uomini, li fa sentire impotenti. specie poi quelli abituati sempre a galleggiare senza fare neanche una bracciata, uh! Come si disperano quelli, caro Bartolo, quelli, davanti alla morte, se la fanno addosso, non sanno proprio come comportarsi; sai chi sono i peggiori davanti alla morte, Bartolo? Quelli che non si sono mai accontentati in vita, quelli che raramente hanno provato a fare un passo indietro, quelli a cui la sorte ha concesso più vantaggi che svantaggi, loro in vita non danno peso alla morte, né a quella loro né a quella degli altri, e poi quando se la vedono arrivare incontro non sanno come gestirla, perché nessuno gli ha insegnato a finire o incominciare, hanno trovato tutto già pronto, non conosco il procedimento…
Di fronte a queste nuova consapevolezze – l’imperfezione delle relazioni umane, l’ineluttabilità del tempo che passa e uccide chiunque, senza distinzione -, Bartolo sente di non poter fare altro che decidere di morire.
Ora è troppo tardi per aiutare Lucio, ma può forse risparmiarsi altro dolore.
Perché scoprire d’essere soli in un mare d’indifferenza, è sempre straziante per chi sa donarsi appieno.
Valentina Di Cesare ha il dono di saper raccontare la vita senza scadere in banalità inutili, trite e ritrite.
Una voce letteraria attenta, onesta e piena di grazia, che, allo stesso tempo, sa colpire duro e ferire, brandendo senza alcun timore le spesso indicibili verità che neghiamo a noi stessi per tutta il tempo della nostra esistenza.
Assolutamente da leggere.
un libro per chi: è amico di tutti ma non c’è mai per nessuno
autore: Valentina Di Cesare
titolo: L’anno che Bartolo decise di morire
editore: Arkadia
pagg. 106
€ 13
Da come ne parli, non pare davvero il libro ideale da leggere sereni e rilassati in spiaggia. E forse proprio per questo merita di essere preso in considerazione.
Ciao Riccardo!
Non frequentando spiagge e ombrelloni non faccio mai caso ai libri adatti a quell’ambiente!
😉
Comunque questo è un libro particolarmente intenso, ci vuole silenzio per goderselo.