Mentre l’attualità politica ci sbatte in faccia il nome di Mussolini e la realtà quotidiana assomiglia sempre più a un terrificante déjà vu, in libreria per Mondadori troviamo Il cuore e la tenebra, il nuovo romanzo di Giuseppe Culicchia che ha tra i suoi protagonisti anche il nazionalsocialismo di Hitler.
Una lettura dolorosa e commovente, ma anche estremamente affascinante per gli appassionati di storia contemporanea.
Il cuore e la tenebra
Quando il presente è vuoto e il futuro ci appare impossibile da raggiungere, non ci rimane che rifugiarci nel passato.
È questo ciò che è accaduto a Federico Rallo ex famoso direttore d’orchestra, padre di Giulio e Pietro, da anni residente a Berlino.
Eppure tutto il Novecento qui a Berlino riempie ancora gli occhi, anche se il profumo dei mille e uno cantieri non satura più le narici. Berlino è uno smisurato festival a cielo aperto di urbanistica e architettura. Tutto convive con tutto e con il contrario di tutto. Jugendstil e Bauhaus. Liberty e Gotico. Neoclassico nazista e razionalismo socialista. Cortili e grattacieli. Biergarten e torri della contraerea. Viali a sei corsie e sentieri nel bosco.
Una solitudine, quella del musicista, nata da un errore commesso molti anni prima, che ha distrutto la famiglia e lo ha reso un padre costretto a barcamenarsi tra assenze strazianti e presenze ignorate.
È Giulio, il figlio più piccolo ora quasi trentenne, a dover affrontare le scelte del padre, morto d’infarto e scoperto già cadavere dalla donna delle pulizie nella casa berlinese.
Una morte inattesa, che sconvolge la vita del ragazzo, costretto a partire per la capitale tedesca per prendere in mano la situazione.
D’altronde Pietro, il figlio più grande, con quel padre non ha mai legato, vittima di un rapporto simbiotico con una madre insicura e iperprotettiva, che oggi s’è rifatta una vita con un nuovo compagno, a migliaia di chilometri di distanza.
Ma i vuoti nelle vite com’è che si riempiono? Io ero troppo piccolo quando te ne andasti. Non ho mai saputo che cosa volesse dire avere una famiglia unita, con entrambi i genitori presenti. Però ricordo che se io e Pietro stavamo con mamma, mi mancavi tu. E se stavamo con te, mi mancava lei.
Ossessionato dalla perfetta esecuzione della Nona Sinfonia diretta da Furtwangler nel 1942 per il compleanno di Hitler, sul finire degli anni novanta Federico Rallo è stato definitivamente allontanato dalle grandi scene musicali, reo di non aver mai nascosto un’attitudine a giustificare il fascismo e il nazismo.
Un evento che Giulio ricorda ma a cui non ha mai dato l’evidente peso che invece si trova ad affrontare, leggendo gli appunti del padre.
Nei file sul pc del Maestro Rallo spuntano lunghe e dettagliate annotazioni e riflessioni sul nazionalsocialismo, sulla figura di Hitler e sul periodo storico che per tutti è riconoscibile nell’orrore dello sterminio, ma che per l’ex direttore d’orchestra ha avuto un motivo d’essere e prosperare.
In quegli scritti, pagina dopo pagina vengono alla luce aspetti dell’uomo e dell’artista che generano sgomento, incredulità e, addirittura, repulsione.
Rivelazioni e sentimenti con cui Giulio dovrà fare i conti, ripercorrendo gli errori commessi dal padre ma anche i tanti momenti di cura e affetto, mai lesinati verso i figli.
Ogni tanto spunta un autoscatto. Io e te sorridenti tra i banchi del mercato della Boqueria a Barcellona. O davanti a un club di tifosi intitolato a Maradona a Napoli. Oppure sotto la neve di fronte al Lustgarten qui a Berlino. E poi di nuovo sul terrazzo della casa di Palermo: noi due seduti lì a tavola, la stessa tavola a cui nei primi scatti eravamo seduti tutti e quattro. E nell’istante in cui m’imbatto in questa immagine, sento una fitta improvvisa di nostalgia. Una nostalgia strana. Mai provata prima. Perché non ha a che vedere soltanto coi ricordi. È la nostalgia di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, di ciò che avremmo potuto vivere e non abbiamo vissuto.
Che cosa ha mosso un uomo libero, colto, brillante, intelligente e per anni con lo sguardo rivolto a sinistra, a spingersi verso la comprensione degli ideali populisti di estrema destra?
È questo ciò che Giulio dovrà cercare di capire, mentre a poco a poco si fa largo la presa di coscienza della perdita, il dolore del lutto e del non detto, dell’abbandono e della verità.
Chissà che cosa hai pensato, nel momento in cui ti sei reso conto che stavi morendo, papà. Ammesso che tu te ne sia reso conto. Un infarto ci dà il tempo di accorgerci di ciò che sta accadendo, del fatto che quelli sono gli ultimi istanti che stiamo vivendo? Credo di sì. A meno che non ci colga nel sonno, naturalmente. Ora che ci penso in realtà non ho idea di come siano andate le cose per te.
Con una scrittura di getto, viva e struggente, Giuseppe Culicchia affronta coraggiosamente temi che sono tuttora considerati inviolabili tabù.
Quanto sappiamo di chi ci sta accanto? Quanto conosciamo veramente chi ci ha generati e cresciuti?
Possiamo accettare che chi amiamo abbracci una fede politica estremista e crudele?
Siamo disposti a scendere a compromessi, tra il male e il bene, tra il bianco e il nero, accettando le sfumature di grigio?
E ancora, un’ennesima cruda realtà: quell’ammissione di imperfezione e debolezza che ogni essere umano ingenuamente rifugge, pur sapendo che dovrà, prima o poi, farci i conti.
Il cuore e la tenebra è un romanzo che doveva essere scritto e che deve essere letto.
un libro per chi: indaga il lato oscuro dell’umanità
autore: Giuseppe Culicchia
titolo: Il cuore e la tenebra
editore: Mondadori
pagg. 218
€ 17
Adoro la parte umoristica di Culicchia, ho divorato in un giorno Un estate al mare, un suo romanzo non recente, preso in biblioteca mentre non so se conosci la collana di racconti lunghi-guide turistiche edite EDT un autore per ogni città? Sono davvero deliziose e lui ha scritto quella su Pechino e l’ho adorato.
Poi certo il celebre Essere Nanni Moretti.
Quindi venendo a questa sua ultima opera mi chiedo dove il suo lato umoristico possa essere sfociato in una narrazione che tu definisci oscura. Mi attira molto e penso proprio che lo prenderò, grazie come sempre per le tue attente riflessioni libresche che leggo avidamente e con gran piacere.
Questa svolta drammatica (e bellissima) di Culicchia, mi ricorda quella di Cavina con Ottanta rose mezz’ora.
Evidentemente, quelli che dalla critica continuano a essere definiti “giovani scrittori” a un certo punto mostrano la necessità di prendere una direzione diversa.
Entrambi, in questi casi ben riusciti, hanno sicuramente conquistato la mia attenzione.
Ti abbraccio tanto!