Esce oggi in libreria, per Hacca edizioni, il nuovo romanzo di Maura Chiulli, artista, combattente, poetessa, scrittrice, mangiafuoco e coraggioso essere umano.
Nel nostro fuoco racconta una storia dura, senza filtri, straziante.
La storia di un uomo e di un padre disilluso e tormentato, Tommaso, alle prese con una figlia imperfetta e difficile, Nina.
Nel nostro fuoco
Nina non è una bambina normale.
Nina è diversa. Cammina gettando i piedi come se fosse sempre sul punto di cadere, beve solo un certo tipo di acqua versata in un bicchiere di vetro trasparente, odia il rosso e mangia solo mezze maniche in bianco, senza olio e senza sale.
Come può Tommaso, cresciuto in una famiglia anaffettiva e dedita alla perfezione, voler bene a questa figlia che è “un’equazione irrisolvibile”?
Lui non conosceva il vocabolario dell’imprevedibilità, non aveva nessuna dimestichezza con l’ignoto, con il buio. Per lui ogni cosa andava progettata, saputa, descritta, vissuta con misura e premeditazione.
Tommaso da piccolo si era convinto “che per far star bene gli altri, si doveva obbedire, stare calmi, fare meno baccano possibile”; dopo quell’infanzia gelida e infelice avrebbe voluto vivere un amore sereno, limpido, intoccabile ma oggi, invece, si trova a fare i conti con questa figlia brutta e malata, stramba e incomprensibile.
… l’iniziativa, la propensione all’incontro, restarono sempre estranee alla sua natura, ma, forse per contagio, cominciò, negli anni, a trasformare l’odio che nutriva per tutti coloro che non gli assomigliavano in tollerabilità e, infine, quasi in piacere. Poi arrivò Nina.
Elena, compagna di Tommaso e madre di Nina, è invece solare, attaccata alla vita, pragmatica ed entusiasta. Ha imparato fin da bambina che dare un nome e una forma alle cose, aiuta a ridimensionarle e fronteggiarle. Elena è stata libera di sbagliare e di scegliere, per questo oggi ha la forza per affrontare l’autismo della figlia.
Tommaso no, non ce la fa, è convinto che non potrà mai riuscire ad amare Nina così com’è, guasta, difettosa, imprevedibile.
Doveva solo scegliere il finale, chiudere lui la storia, andarsene, decidere per tutti e tre, altrimenti sarebbe impazzito. Nina era cresciuta dentro le sue pareti di carne per poi nascere e murarli vivi in due stanze separate. Nel mezzo c’era lei, muta e crudele, che stava benissimo senza di loro, ma che li teneva stretti, divisi, a marcire.
Tommaso, che mai s’è amato, si allontana dalla sua mangiafuoco, il suo grande amore, colei che aveva illuminato i suoi giorni prima che il buio di Nina lo riportasse nel gorgo gelido della sua mancata infanzia.
Il fuoco per Elena era compassione, perdono, lunga riconciliazione, una pausa abbagliante, una folgorazione collettiva. E si sentiva in dovere di brillare, di respirare, di sentire e di mostrare all’universo quanto la vita fosse capace di un’enormità come quella.
Il cuore di un uomo che non ama è destinato a marcire?
Si può davvero giudicare chi è stato vittima dell’indifferenza e oggi non riesce a donarsi e a donare?
Nel nostro fuoco è un pugno nello stomaco e una carezza al cuore, un romanzo feroce e struggente, pregno del primigenio significato di compassione, quel soffrire insieme che rende unica ogni relazione umana; un libro prezioso e importante, che ci ricorda, ancora una volta, che la miseria affettiva percepita da bambini può segnarci per tutta la vita, ma ribadisce anche che è l’amore stesso l’unico vero rimedio, da seminare e coltivare anche quando tutto sembra insopportabile.
un libro per chi: tende ai facili giudizi e ha bisogno di riflettersi in uno specchio, per cambiare
autore: Maura Chiulli
titolo: Nel nostro fuoco
editore: Hacca
pagg. 186
€ 15
Cinque domande a Maura Chiulli
Maura Chiulli è bellissima.
Guardo le sue immagini mozzafiato, mentre padroneggia il fuoco, e percepisco una forza straordinaria, una donna luminosa che ha attraversato il buio e che ora sa volersi bene e brillare. Una stella polare, per anni responsabile cultura di Arcigay, oggi ancora attivista sempre in prima linea.
Ciao Maura, benvenuta sul blog!
Te lo avranno già detto, ma voglio sottolineare quanto sia coraggioso il tuo nuovo romanzo. Affronta il tema della malattia, della diversità e dell’essere genitori di figli “difficili” in modo crudo e diretto, con una schiettezza che difficilmente, invece, troviamo nella narrativa mainstream. Tommaso, il protagonista, agli occhi del lettore è l’antieroe, il genitore malvagio, quello che non riesce ad amare. Io, nella sua scelta e nelle sue reazioni, ho visto tutte le fragilità umane, comuni a tanti di noi, ma temo che molti lo giudicheranno senza alcuna attenuante.
Quanto è stato difficile per te raccontare questo personaggio e renderne così bene i pensieri e le azioni? Ti sei ispirata a qualcuno che conosci realmente? Quanto c’è di te in lui?
Nel nostro Fuoco è la storia di una famiglia che vuole vivere, nonostante le ferite profonde. Tommaso è un padre difettoso, un uomo che ha sofferto assenze, sparizioni, abbandoni e che non conosce nessun alfabeto emotivo, non sa parlare di sentimenti, non ha dimestichezza con se stesso e con l’altro.
Costruire questo personaggio è stato difficilissimo. Lontano anni luce da me, dalle persone della mia vita, eppure l’ho visto. L’ho conosciuto da qualche parte, forse nelle mie fragilità, nei pensieri scuri che tutti noi abbiamo e vogliamo dimenticare, perché ci fanno sentire giudicabili, vergognosi, vulnerabili.
A me interessa la verità, anche quando è scandalosa, apparentemente buia, dolorosa. Attraversarla, sporcarsi le mani col dolore, fare i conti con l’abietto, l’indicibile, per me è vivere con autenticità, avere accesso al senso. Esistere veramente.
Mentre guarda Nina e impara a conoscere i limiti della sua condizione, Tommaso si sente vittima di un dispetto, di un castigo.
Da lettrice, mi sono spesso domandata come avrei reagito al posto suo. Se sarei stata forte e amorevole come Elena o se, come Tommaso, mi sarei sentita sopraffatta dall’atroce desiderio di sparire, di lasciare mia figlia e di andare oltre, come se non fosse mai venuta al mondo.
Il tema dell’accettazione – che possiamo declinare in ogni sua sfumatura, accettazione di se stessi, della sessualità, della propria condizione, del passato, dei propri e altrui limiti – era presente anche nel tuo precedente romanzo, Dieci giorni.
Oggi tu ti vuoi bene e trasmetti questa tua forza agli altri, ma quanto è stato difficile arrivare a questa consapevolezza?
Tommaso ed Elena sono così diversi, eppure si scelgono, si avvicinano, si toccano, si abbracciano, in una stretta che li cambierà, che li farà venire al mondo ancora una volta, ma che imporrà un sacrificio, chiederà un pegno. L’amore e la speranza, l’incapacità e la conquista, tra loro si creerà un legame infuocato, salvifico.
Il tema dell’accettazione, della conoscenza profonda di sé mi sta tanto a cuore. Ho faticato per arrivare a essere solo la donna che sento di essere, per sapermi dire imperfetta, per imparare a essere coerente (che spesso vuol dire rinunciare a piacere a tutti). Come Elena, credo si viva per amare e per combattere, ma la strada che percorro per amarmi ha tratti scoscesi e pericolosi. Forse è lì, in quei momenti imprudenti e solitari che ho visto Tommaso.
Pescara è la tua città. Nel libro Tommaso ne parla in modo non lusinghiero, al limite del disprezzo. Tu hai scelto di tornare a vivere lì dopo aver trascorso parecchi anni altrove. Com’è stato tornare in una realtà provinciale che certamente ha, come tutte le piccole cittadine, dei limiti sociali e culturali?
Tommaso non è un tipo introspettivo, fa tanta fatica a entrare in contatto con se stesso, a parlarsi, a sentire. Questa sua attitudine alla distanza, non riguarda solo gli esseri umani, ma anche i luoghi. Pescara è vuota quanto vuoto è il suo petto. Tommaso giudica, perché ha bisogno di sfuggire alle responsabilità. Cerca nemici per distribuire il suo male, che è troppo pesante da trattenere, da portare.
Sono felice di essere tornata a Pescara e di vivere in campagna, a un passo dalla casa in cui sono cresciuta. L’Abruzzo è la mia terra, il luogo più sicuro nel quale custodire i ricordi e prendermi cura del presente. Ho vissuto in tante città e le ho amate tutte, Rimini in particolare. Ho sperimentato me stessa in tanti altrove e ho scelto di tornare solo dopo aver capito di essere finalmente pronta a venire al mondo ancora una volta, a rinascere, a ricominciare da capo, dallo stesso punto, dalla stessa campagna.
Scrivere per raccontarsi e condividere, scrivere per esorcizzare, scrivere per aiutare gli altri, scrivere per puro piacere. Che cos’è per te scrivere?
Scrivere è bruciare. Le parole sono la fiamma che voglio manipolare, trasformare, liberare.
Nei ringraziamenti in coda al libro ce n’è uno molto speciale rivolto alle tue editrici, Francesca Chiappa e Silvia Sorana. Le conosco e sono donne straordinarie. Cosa ha significato per te incontrarle? Quanto è importante per uno scrittore essere in forte sintonia con il proprio editore?
Incontrarle ha voluto dire vedermi, riconoscermi, abbracciarmi. Nei loro occhi mi sono vista brillare finalmente. Scrivere con loro accanto è un dono, una carezza. Francesca mi ha aiutata a liberarmi, ad accorciare le distanze, a dire fino a scorticare. A loro sono grata almeno quanto sono grata alla poesia di Chandra Livia Candiani.
Che gran bel ritratto di donna. C’è da dire che HACCA non sbaglia un colpo.
C’è da dire che Hacca è fatta di donne straordinarie ed eccezionali!