Piccola storia grande di Marion Fayolle non è il romanzo che ci si aspetterebbe leggendo la trama sul risvolto e guardando la bella copertina disegnata dall’autrice stessa, già nota illustratrice.
A dirla tutta, questo libro di poche pagine non è forse nemmeno un romanzo, ma un diario asciutto, ma a tratti anche poetico, che procede per quadri, dipingendo la quotidianità rurale tra le montagne per quel che è, senza edulcoranti che la rendano stucchevole e che alimenti quel filone di storie benevole e salvifiche sui picchi che regalano vite migliori.
Piccola storia grande
Sia chiaro che non c’è nulla di sbagliato nella narrazione schietta e talvolta cruda che Fayolle fa della variegata famiglia protagonista, e chi conosce davvero la montagna sa che non è tutto tramonti rosa e profumo di bosco.
Non sono in tanti ad avere la forza d’animo che hanno loro, ce ne vuole per resistere alla solitudine e al clima. Gli piace radunarsi, sentire che non sono soli, che ce n’è altra, di gente come loro. Bevono, cantano, alcuni conoscono vagamente la musica, i giovani prendono per mano i vecchi per farli ballare, ringiovanire.
La famiglia, quando a popolare un tratto di terra sono poche persone, è un’entità allargata, una creatura dalle mille teste, alcune vecchie e altre molto giovani, che devono saper convivere per andare avanti e veder trascorrere più stagioni possibili. Con loro è la fatica che sta sulle spalle e nella schiena, l’impegno quotidiano per curare le bestie che portano cibo a tutti, che sono il vero perno della fattoria.
L’edificio si sviluppa in lunghezza, un’abitazione da un lato, una dall’altro, e al centro la stalla. Nell’ala sinistra i giovani, quelli che portano avanti la fattoria, nell’ala destra i vecchi. Si lavora, ci si sfianca, e un bel giorno si slitta dall’altra parte. […]
I bambini fanno da ponte tra un’ala e l’altra, corrono per portare le uova fresche ai genitori e le casseruole vuote alla nonnina. Inciampano tra i ciottoli e guardano il loto futuro dietro le sue finestre.
È qui che nasce la ragazzina diversa, troppo sensibile, stramba, difficile, di cui seguiamo le gesta mescolate a quelle della sua ascendenza: una nonnina ancora in gamba e un nonnino con la demenza, una madre che è rimasta vedova troppo presto, diversi cugini, tanti marmocchi, uno zio depresso e alcolizzato.
Qui la morte è un fatto del tutto naturale, perché fa parte della vita, e tutto ciò che è vita si accetta per quel che è; con la morte, come con i temporali, bisogna stare sempre pronti, può accadere da un momento all’altro, può portare via tutto in men che non si dica.
Questo è un mondo in cui gli animali sono solo animali, con le loro “funzioni” di base, e se si prova qualcosa in più allora si è matti come lo zio, il fratello del nonnino, che ama una fagiana a cui fa gli occhi dolci mentre lei lo ascolta parlare a vanvera.
Qui il clima è troppo rigido, i vicini se ne sono andati tutti, la gente affitta la terra e va a vivere nelle valli dove la vita è più comoda, i loro figli non hanno fatto altro che seguire la corrente.
C’è una profonda solitudine nella narrazione di Fayolle, la solitudine affaticata di chi sceglie di restare e quella tenera e nostalgica di chi ha saputo andarsene via, guardando comunque sempre indietro, perché talvolta la terra è parte del DNA e non bastano i chilometri a trasformarci in esseri diversi da quelli che siamo nati.
Piccola storia grande racconta tutto questo, con la frammentazione di chi nella vita ha sempre da fare e non può concedersi troppo tempo per stare immerso nei propri pensieri.
Se si supera l’aspettativa iniziale e ci s’immerge negli struggenti quadri di Fayolle, se ne esce arricchiti, comunque affascinati, in qualche modo riconoscenti a chi lavora la terra, salvandola ogni giorno, e a chi da essa fugge per venire a raccontarcela.
un libro per chi: si è stancato della favola sulla salvifica vita campagnola e montanara
autrice: Marion Fayolle
titolo: Piccola storia grande
traduzione: Francesca Bononi
editore: NN Editore
pagg. 134
€ 16