Articolo a cura di Metella Orazi.
Don Carpenter è un autore americano pressocchè sconosciuto ai più, che in vita non ha inseguito e mai ottenuto il successo che avrebbe meritato; un altro scrittore, George Pelicanos, ne ha intravisto però il valore ed è stato determinante per la pubblicazione del suo romanzo d’esordio: Hard Rain Falling, edito in Italia da Edizioni Clichy, è considerato un piccolo capolavoro sulla delinquenza minorile.
Hard Rain Falling
Quanto sarebbe stato facile arrendersi e lasciare che loro riprendessero il controllo. Tornare all’orfanotrofio, dove gli davano cibo, vestiti e un letto, dove lavorava perchè loro gli dicevano di lavorare, andava a scuola perché loro gli dicevano di andare a scuola… Però a occhio e croce ne aveva solo per dodici mesi, fin quando avesse compiuto diciott’anni. Poi anche l’orfanotrofio lo avrebbe cacciato a pedate.
Jack Leavitt è un adolescente orfano fuggito dall’orfanotrofio, che vive di espedienti frequentando le sale da biliardo di Portland in Oregon. Scommette sulle partite a biliardo e tenta così di racimolare qualche soldo per anadare avanti. Una sera, una manciata di ore gli stavolgono la vita, quando va in una squallida e mal frequentata sala da biliardo e conosce Billy Lancing, un suo coetaneo nero, vero asso con la stecca, ma anche un truffatore che lo coinvolge in un affare che porta Jack dritto in galera.
Fin da bambino Jack sembrava un piccolo criminale e questo non gli permetteva di essere considerato per l’adozione, cosa che forse avrebbe voluto per sfuggire alla consapevolezza di essere solo al mondo.
Con la spaventosa lucidità dell’autocommiserazione si vedeva per quello che era davvero: un bimbetto spaventato che non aveva il coraggio di affrontare la disgrazia di essere nato, che non aveva la forza di carattere di rendere il mondo simile a sé oppure divorarlo.
Nel penitenziario di San Quentin, Jack assaggia la durezza della reclusione e l’umilizione di essere spogliato di ogni dignità, ma ritrova anche un amico, Billy, che prima di finire dentro era sposato e con figli, e rappresenta il tipico nero della classe media, che sembrava avercela fatta, anche se ora le responsabiltà familiari sono diventate un ostacolo insormontabile.
Entrambi falliti precocemente, si ritrovano in cella a fare i conti con il passato.
Per tutta la notte nella sua cella, bruciava di odio. L’importante non era ciò che pensava, ma come si sentiva; e solo, nel buio della sua cella, avvolto dai rumori e dal brusio della sezione, aveva voglia di massacrare l’intero universo.
Hard Rain Falling è stato definito un “romanzo carcerario” perché gran parte della narrazione – le pagine più intense – si svolge quando i due protagonisti sono in carcere, ma anche perché l’autore americano fa una ritratto feroce del sistema carcerario degli anni Sessanta.
Carpenter affonda la penna, caratterizzata da uno stile diretto e asciutto, nella condizione umana, nel racconto della solitudine, della sessualità, del matrimonio e tratta tutto con una profondità estrema, in un abbraccio di generi letterari.
Con Jack crea un protagonista antipatico e non induce mai i lettori a perdonare le sue azioni, ma grazie all’onestà delle descrizioni sempre molto realistiche il romanzo sembra quasi uno studio antropologico sul comportamento umano, un’epopea dostoevskijana di crimine, punizione e ricerca del riscatto che sfugge sempre.
un libro per chi: ha voglia di capire dove sta, se esiste, la linea di demarcazione che separa chi sta fuori da chi è dentro
autore: Don Carpenter
titolo: Hard Rain Falling
traduzione: Fabio Cremonesi e Micaela Uzzielli
editore: Edizioni Clichy
pagg. 447
€ 22