Articolo a cura di Metella Orazi.
C’è un nuovo popolo di migranti al mondo che si fatica a immaginare, per cultura, benessere e stabilità politica, eppure Ken Kalfus lo ha raccontato con una distopia terribilmente realistica in Le due del mattino a Little America, pubblicato da Fandango.
Le due del mattino a Little America
La nuova guerra civile americana ha avuto luogo e ora alcuni cittadini statunitensi sono costretti fuori dalle proprie città.
Così è per Ron Patterson, che cerca di nascondere le proprie origini camuffando la lingua e tenendo un basso profilo, che vive da esule perché essere straniero è uno stigma che va nascosto, anche a chi come lui proviene dai medesimi posti.
Come tanta gente della mia età, mi trovai in una città straniera alle prese con un lavoro sottopagato in un settore piuttosto umile che in precedenza non avevo mai preso in considerazione. Non era un lavoro spiacevole. Mi portava più volte al giorno in cima ai tetti della città, sopra i rumori del traffico, dove, circondato dalle sommità dei più ambiziosi grattacieli metropolitani, contemplavo la baia movimentata e le montagne verdeggianti in lontananza.
Ron racconta come il lavoro di manutentore sui tetti gli permetta di osservare diventando quasi invisibile. Un giorno scorge una donna che ha appena fatto la doccia e nella sua intimità casalinga si muove libera e naturale, inconsapevole di aver colpito l’attenzione dell’uomo che quasi si vergogna ad aver rubato quel momento privato, ma che non può ugualmente fare a meno di guardare.
Da quel momento rivede la donna in tutte quelle che incontra, la visione diventa per lui una sorta di ossessione e sembra riconoscerla in molti volti femminili anche se in città nuove, lontanissime da dove l’aveva vista la prima volta.
Ron è costretto a spostarsi in uno dei pochi paesi che ancora accettano americani, dove trova una Little America, una vera e propria “enclave” in cui si stabilisce.
I nostalgici del consumismo hanno ricreato copie malfatte dei grandi magazzini e Ron, pur fingendosi canadese, si sente più a casa lì che in qualsiasi altro posto.
Vivere con la valigia, farla e disfarla come se davvero rappresentasse chi siamo. Conoscenze che vanno, vengono e si dimenticano. Non lasciamo mai nessuna traccia. Non è propriamente una vera esistenza. A volte penso che io non sono niente di più che i miei documenti, solo un passaporto e una collezione di marche da bollo. Le marche da bollo sbagliate.
Purtroppo nell’enclave crescono le tensioni sociali e l’anelata serenità per Ron rimane un’illusione perché si ritrova nuovamente in mezzo alle divisioni politiche: da una parte gli esiliati che vogliono continuare le proprie lotte intestine e dall’altra le milizie che continuano a osteggiare gli americani e li vorrebbero cacciare.
Kalfus, che è giornalista e scrittore di culto, sempre attento all’attualità, non fa sentire i lettori e le lettrici a proprio agio nel mondo che prefigura e pone loro diverse riflessioni; tra le più interessanti è quella su chi siano e che aspetto abbiano i veri americani: sono davvero riconoscibili, dato che il popolo americano è un melting pot di razze e tratti somatici globali?
Le due del mattino a Little America ribalta la prospettiva e con tensione crescente mostra cosa sarebbe se tutto fosse capovolto, se quello che gli americani fanno nella loro politica estera e per l’immigrazione non fosse imposta per esempio a siriani, messicani, o iracheni ma si applicasse invece proprio a loro.
Un romanzo che fa riflettere su privilegio e identità.
un libro per chi: si chiede come sarebbe se i rifugiati fossimo noi
autore: Ken Kalfus
titolo: Le due del mattino a Little America
traduzione: Monica Capuani
editore: Fandango
pagg. 228
€ 19.50