Articolo a cura di Metella Orazi.
Esperimento, memoir, racconto, non è semplice dare di Storia della mia faccia di Ruth Ozeki, uscito per le edizioni e/o, una definizione univoca.
Molto meglio accettarle tutte.
Storia della mia faccia
Ozeki, regista e autrice, ha cinquantanove anni quando decide di provare in prima persona un esperimento proposto in “The Power of Patience” di Jennifer L. Roberts, in cui si evidenziano gli aspetti positivi dell’attenzione immersiva.
Quello che richiede l’esercizio è di sedersi di fronte ad uno specchio e guardare il proprio viso, senza mai distrarsi, per tre ore filate.
Il mio rapporto con la mia immagine riflessa è cambiato nel corso degli anni. Da bambina ero indifferente al mio io riflesso. Crescendo un po’, sono diventata timida ed evitavo la mia immagine, ma da adolescente trascorrevo grandi quantità di tempo davanti agli specchi, esaminando ogni follicolo e poro e sviluppando una relazione minuscola, quasi microscopica con le mie superfici.
Ogni viso racconta una storia e Ozeki comincia a ripercorrere la sua guardandosi e riconoscendo su di sé le caratteristiche dei genitori, le sue due metà originarie, la madre e il padre, che solo undici anni prima della sua nascita – avvenuta nel 1956 – erano state nemiche nel conflitto mondiale.
La madre giapponese la ritrova nel sorriso storto, gli occhi tristi e larghi sono invece del padre americano; questi sono tutti elementi che hanno contribuito a creare il suo viso, i suoi lineamenti, che sembrano indecisi se protendere da una parte o dall’altra, creando così una razza mista che negli anni ’50 e ’60 era ancora considerata un’anomalia, rara e perturbante.
Dall’attenta e impietosa osservazione Ozeki passa a una ricognizione sociologica che racconta anche il suo impegno femminista e del percorso compiuto per diventare prete buddista.
Da giovane la mia faccia per metà giapponese indicava un io in contrasto con quello che sentivo di essere. La mia faccia era una superficie su cui le persone, in particolare gli uomini, proiettavano le loro idee di razza e sessualità, di asiatismo e femminilità, idee che avevano poco o niente a che fare con me. Sono cresciuta indossando una maschera sul viso che non sapevo ci fosse, ma nel corso degli anni, ovviamente, la maschera mi ha plasmato.
Tre ore sono tante da passare in compagnia solo dei propri occhi e dei difetti che a forza di guardare inevitabilmente affiorano, capita che Ozeki si senta anche annoiata da ciò che vede, ma tutto, anche la noia, diventa materia di indagine, di racconto. E la mente spazia su vari argomenti, la chirurgia estetica per esempio, in un mondo ossessionato dal non invecchiare, che cosa deve rappresentare: un demone da stigmatizzare o un aiuto da utilizzare?
Voglio trovare un po’ di bellezza in questa faccia, così com’è. Voglio star bene con chi sono. Proprio adesso. Solo questo.
A esperimento concluso forse l’autrice ha trovato qualcosa di diverso da ciò che si aspettava.
Alla ricerca della bellezza ha trovato invece i dettagli, ma cosa più sorprendente di tutte, ha provato gratitudine verso quella batteria del tempo che è il suo viso, che porta con sé la sua storia.
un libro per chi: è curioso di sapere quante cose una faccia possa raccontare
autrice: Ruth Ozeki
titolo: Storia della mia faccia
traduzione: Tiziana Lo Porto
editore: edizioni e/o
pagg. 138
€ 15
Credo che comprerò questo libro. Grazie Metella, Grazie Elena.
Per uno come me che sta davanti allo specchio, giusto lo stretto necessario (tra i 3 e i 6 minuti al giorno), le tue parole mi hanno incuriosito alla lettura.
Buon fine 2022, buon inizio 2023.
ADG