Abbiamo sempre più bisogno di favole contemporanee che riescano a farci credere nell’umanità e in un presente più vivibile.
Ne è un buon esempio L’uomo che guardava le stelle dell’americano Joe Stillman, pubblicato da Atlantide, che ci porta ad Hadley, un piccolo paese dell’Arizona, a conoscere un nutrito gruppo di personaggi davvero originali.
L’uomo che guardava le stelle
La voce narrante è quella della sedicenne Belutha, dalla parlantina sarcastica e decisamente molto più matura della sua età.
La ragazza è cresciuta in fretta perché Maybell, sua madre, non l’ha certo curata e coccolata come vorrebbe il suo ruolo.
La donna, infatti, dopo aver avuto Belutha da Oren – il suo grande amore di gioventù, con cui intrattiene ancora oggi un tira e molla fatto di rapidi incontri sessuali e ripetute fughe – è diventata madre anche di Sonny Boy, oggi un grassoccio adolescente fissato con i videogiochi, e di Clover, che è ancora un lattante in fasce.
Tre figli da tre uomini diversi, con una spregiudicatezza sessuale che nasconde però il desiderio di essere amata e restare giovane per sempre, regolarmente affogato in alcool e serate fuori casa a divertirsi con qualsiasi maschio che la degni di attenzione.
D’altronde Maybell sgobba tutto il giorno nel suo ristorante ed è certa di avere diritto a quello svago, affidando Clover alle cure della sorella maggiore e abbandonando Sonny Boy a sé stesso.
La rabbia di Belutha è quindi giustificata e la ragazza sogna di andarsene quanto prima da Hadley, per rivendicare una libertà che altro non è che desiderio di mettere distanza tra lei e quella famiglia decisamente sopra le righe.
A scuola, e immagino nella vita, ci sono due tipi di persone. Quelle che stanno bene con gli altri e provano un senso di appartenenza. E quelle che non ci stanno bene. Anche da piccola, ero più incline alla seconda categoria. Non volevo appartenere a nessun gruppo. Ma era comunque carino avere quella possibilità, se avessi voluto.
Un giorno, nel ristorante di Maybell, appare un venticinquenne silenzioso, puzzolente e mal vestito, che si ritrova improvvisamente catapultato dalla titolare al di là del bancone, a gestire gli ordini e a cucinare hamburger, uova, patate e ogni richiesta degli avventori del luogo.
Bill, così dice di chiamarsi, è davvero bizzarro: sembra completamente disinteressato a raccontarsi a Maybell e fatica a dare spiegazioni sulle proprie origini.
Bill restò seduto a fissare il caffè. Per lui, non c’erano più il ristorante, né la cameriera, né i piatti che sbattevano o le conversazioni idiote. Si chinò sulla tazza, come se non ci fosse altro. Ed eccolo, che annusava il caffè per la prima volta. Profumava di vita. Come un intero mondo. Tipo, l’odore di un pianeta se ti trovi lassù nello spazio e puoi fare un bel respiro. Bill rimase immobile per chissà quanto tempo. E poi, quando si sentì pronto, bevve il suo primo sorso di caffè.
È solo timidezza la sua o nasconde qualcosa che non si deve sapere?
Chi è veramente Bill e perché c’è una ragazza, Katie, convinta che si chiami Peter?
Il suo arrivo al diner sconquassa gli equilibri, soprattutto perché Bill ha un grande dono: legge nel pensiero e riesce a cucinare le pietanze prima che vengano ordinate dai clienti!
In un attimo, questa sua dote diventa di dominio pubblico e il ristorante viene preso d’assalto da centinaia di persone che arrivano da lontano per farsi leggere la mente da quel giovane buffo e introverso.
Tra questi c’è anche Martin, un anziano che deve assolutamente parlare con il cuoco, con l’urgenza di chi cerca risposta alle domande più importanti sul senso della vita.
E c’è anche Rose, la vedova che da anni sedeva a un tavolo, cercando di non scomparire del tutto a sé stessa e agli altri.
In quel momento privo di tempo, Bill disse che aveva sentito il bisogno di Rose, le sue paure, l’angoscia e il suo desiderio. Gli altri venivano al ristorante per mangiare, ed era tutto abbastanza diretto. Ma rose ci veniva per trovare un po’ di sollievo dal dolore. Quando Bill sentì il dolore di Rose, quando capì cosa viveva lei giorno dopo giorno, anno dopo anno, fu sopraffatto da un nuovo desiderio, qualcosa che non aveva mai provato prima. Voleva far diminuire quel dolore.
Il destino di Bill è quello di cambiare la vita delle persone che incontra, semplicemente facendole avvicinare tra loro, prendendo le tante solitudini che lo circondano e riunendole in una famiglia allargata e sgangherata.
Non è un caso che nella quarta di copertina si citino Pomodori verdi fritti alla fermata del treno di Fannie Flagg, con la sua variegata umanità, e il film K-Pax con Kevin Spacey, in cui un presunto alieno rivela il senso della vita a un medico fin troppo razionale, a cui possiamo aggiungere le caratteristiche di altri personaggi pop già noti, come l’innocente saggezza di Forrest Gump e il delicato stupore di Starman.
Se è vero che i dialoghi tra Belutha e gli altri personaggi possono apparire un tantino falsati ed esagerati, è altrettanto vero che la coralità del romanzo ha la meglio su tutto ciò che sembra stridere, portando quindi il lettore a sentirsi parte integrante di una storia tanto fantastica quanto accogliente.
L’uomo che guardava le stelle è il classico libro da condividere con chiunque abbia voglia di un’evasione leggera ricca di buoni sentimenti, quella favola che oggi è necessaria per affrontare le giornate più dure.
un libro per chi: è stanco di non sognare abbastanza
autore: Joe Stillman
titolo: L’uomo che guardava le stelle
traduzione: Clara Nubile
editore: Atlantide
pagg. 249
€ 18