Il contrario delle lucertole, romanzo di Erika Bianchi pubblicato da Giunti nel 2017, racconta la drammatica storia familiare di Nanni e Isabelle, fratello e sorella, figli dello stesso uomo e cresciuti in mondi distanti ma non troppo diversi.
Una vicenda che ribadisce quanto i figli, fino a quando sono giovani e fragili, avrebbero diritto a vivere con spensieratezza e che questo diritto, a volte, può non appartenerci, dando il via alla genesi dei nostri mostri interiori.
Il libro sarà protagonista dell’incontro del 14 febbraio del gruppo di lettura Babele.
Il contrario delle lucertole
Spero che mi fermi, che mi dica: Ma no Marta, vai, ci penso io, vedrai che non è niente. Non gli crederei, andrei a cercarla lo stesso, come si fa a non preoccuparsi? Ma almeno, almeno mi riconoscerebbe il diritto alla spensieratezza. Mi esonererebbe dalla responsabilità.
Lo diceva anche Tolstoj nell’incipit di Anna Karenina che tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro e ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
La famiglia protagonista del romanzo discende da Zaro Checcacci e non può che essere infelice, poiché generata da un uomo incapace d’amare, privo di quel bagliore interiore che accomuna le brave persone.
Nel 1948 Zaro, diciassettenne orfano di padre, viene scelto dal prode Gino Bartali per far parte della squadra che deve accompagnarlo al Tour de France, edizione che il non più giovane ciclista vincerà per la seconda volta.
Sulle coste della Bretagna, nel piccolo paese di Dinard, la squadra si ritrova a festeggiare una tappa vinta da un gregario di Bartali. In quel locale, tra vino che scorre e l’euforia che esplode, lavora la quindicenne Lena, innocente quanto basta per non capire che appartarsi con Zaro e lasciarsi andare tra le sue braccia la condurrà in una direzione dalla quale non potrà tornare indietro.
Nove mesi più tardi viene alla luce Isabelle, bambina non desiderata e figlia di padre ignoto, mentre Zaro, tornato a Ponte a Ema in Toscana, continua ad aggiustare biciclette e mette su famiglia con la brava ragazza Elvira, dalla quale nasce Giovanni, detto Nanni.
Dieci anni dopo, Lena si presenta all’officina di Zaro. Accanto a lei una fragile, perplessa e timorosa Isabelle, ancora sconvolta dal lungo viaggio verso una terra ignota, dove si parla un idioma diverso e dove nulla di buono l’attende.
Nell’officina c’è anche Nanni. È timido, non ha mai visto il mare, non sa quasi nulla della vita, ma istintivamente capisce che quella bambina è sua sorella. Si avvicinano l’uno all’altra, non parlano la stessa lingua ma si scelgono a pelle e sangue con la stessa certezza dei rabdomanti che sanno dove trovare l’acqua.
Isabelle e Nanni, i figli di Zaro: una non desiderata e non riconosciuta, l’altro continuamente umiliato e ferito da quel padre volgare e arido; entrambi costretti a crescere camminando in bilico sul vuoto del non amore.
A loro per primi non è concesso il diritto alla spensieratezza, a loro il mostro interiore vieta di vivere e amare.
Isabelle ci prova. Vuole veramente spezzare il circolo vizioso, la maledizione che scorre nel suo sangue e che le blocca il cuore. Ci prova sposandosi con Carlo, mettendo al mondo Marta e Cecilia. Ci prova andando a vivere a Roma, costringendosi nel ruolo di moglie borghese, interpretando la parte della mamma che respinge con orgoglio la depressione post partum.
Prova con tutte le sue forze a combattere con il mostro che le divora l’anima, che la rende infelice sempre, anche se apparentemente non ne avrebbe motivo.
Ci prova ma non ci riesce, perchè il mostro non può morire, non fino a quando lei non gli consentirà di farlo.
Vorrei lasciare il segno nei posti in cui vivo, appestarli di piscio come i gatti, ma ho una vita che non attecchisce, che scivola via dai luoghi senza inciderli.
Isabelle abbandona Carlo e le bambine, generando così altri mostri e nuova rabbiosa infelicità.
Un domino di dolore che non riesce a interrompersi.
Mentre Nanni continua a vivere accanto a Zaro, diventando però un uomo gentile e presente, non solo per la sorella ma anche per le nipotine sperdute, Isabelle si trasferisce a Parigi con Jules, il nuovo marito che sembra darle l’equilibrio tanto anelato.
Per spezzare la maledizione ci vorranno anni, costellati di nascite e lutti; anni fustellati con centinaia di parole, bocconi di metafore in storie di animali che provano a dare un senso all’abbandono. Ci vorrà una bicicletta per allontanarsi dai mostri e arrendersi all’ineludibile consapevolezza che non si può essere madre se non si è stata figlia e che a taluni serve un’intera vita per vincere nella lotta contro la propria natura.
Infine, arriverà il perdono a soffocare per sempre il mostro.
Il gene dell’orco è finalmente sconfitto.
autrice: Erika Bianchi
titolo: Il contrario delle lucertole
editore: Giunti
pagg. 312
€ 16
L’ho trovato bellissimo. Tocca effettivamente corde che non vorremmo esporre. Commovente, ben scritto, ben strutturato. Sorprendentemente sottovalutato.
Hai detto molto bene: sorprendentemente sottovalutato.
È un romanzo che io consiglio ancora tanto, perché a distanza di anni ci penso ancora e ancora.